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Spazio di Hilbert

Spazio di Hilbert (PARTE 1) : concetti base e cenni storici

Magari ti è già capitato di sentire nominare Hilbert, ma a meno che tu non abbia già seguito un corso di analisi funzionale o qualcosa di analogo, probabilmente non sai cosa sia uno spazio di Hilbert.

Andremo quindi alla scoperta di questi particolari spazi, vedendone un po’ di storia, una caratterizzazione formale e rigorosa, le principali proprietà, alcuni esempi e per finire introdurremo l’importante concetto di Serie di Fourier generalizzata parlando di proiezioni.

In questo articolo lascerò da parte gli ultimi tre punti di questa lista, “limitandomi” quindi a introdurre alcuni concetti base e a fare un preambolo storico, perché altrimenti verrebbe troppo lungo. Termineremo quindi questo percorso alla scoperta degli spazi di Hilbert in un secondo episodio che scriverò tra non molto. Se vedo che sarebbe troppo lungo anche il secondo non si sa mai che lo spezzi in un ulteriore terzo, tanto di cose da dire ce ne sarebbero una marea 😉

Di strada da fare quindi ne abbiamo parecchia, ma cercherò di renderla il più scorrevole e piacevole possibile quindi, cosa stiamo aspettando?! Iniziamo con il succo dell’articolo!

Prima di iniziare ti lascio una piccola legenda della notazione matematica che userò, e che è usata classicamente, per rendere il testo più scorrevole (nel caso tu non ci fossi già abituato):

  • $v\in V$ vuol dire che l’elemento $v$ appartiene all’insieme $V$
  • $\exists x\in X$ significa che esiste una $x$ nell’insieme $X$
  • $\forall x\in X$ sta ad indicare per ogni $x$ dell’insieme $X$.

Definizioni e concetti base che useremo per scoprire gli spazi di Hilbert

Per poter parlare di spazi di Hilbert, è necessario che alcuni concetti siano noti, vediamo quindi di sintetizzarli in questo paragrafo 😉 . Non voglio fare sbrodoloni inutili in questa sezione, per cui tutte queste nozioni sono organizzate qui sotto in maniera sintetica ma più che sufficiente per capire il seguito dell’articolo e soprattutto le prossime puntate.

Spazio vettoriale su $\mathbb{R}$

Diciamo spazio vettoriale rispetto al campo $\mathbb{R}$ un insieme $V$, i cui elementi saranno chiamati vettori, equipaggiato di due operazioni

$+ : V\times V\rightarrow V$ e $* : \mathbb{R}\times V \rightarrow V$ tali che soddisfino le seguenti proprietà:

  • $(V,+)$ è un gruppo abeliano, ovvero:
  1. Esiste un elemento neutro $0_V$ rispetto a $+$, quindi esiste $0_V$ tale che $a+0_V=a\,\forall a\in V$.
  2. Esiste un elemento inverso rispetto a $+$, quindi esiste un $\bar{a}$ tale che $a+\bar{a}=0_V\,\forall a\in V$.
  3. L’operazione $+$ è associativa, ovvero $(a+b)+c=a+(b+c)$, $\forall a,b,c\in V$.
  4. Vale la proprietà commutativa (perché è abeliano): $a+b=b+a$, $\forall a,b\in V$.
  • Vale la proprietà distributiva tra $*$ e $+$:
  1. $k*(a+b) = k*a + k*b$, $\forall a,b\in V,\,k\in\mathbb{R}$.
  2. $(k+m)*a = k*a + m*a$, $\forall k,m\in\mathbb{R},\,a\in V$.
  • Proprietà di neutralità
  1. Se $1_{\mathbb{R}}*k = k\,\forall k\in\mathbb{R}$, allora deve valere che $1_{\mathbb{R}}*a=a\,\forall a\in V$.

P.S. Ci tengo a sottolineare che le due operazioni $+$ e $*$ non sono necessariamente le classiche addizione e moltiplicazione che siamo abituati a usare con i numeri reali. Si possono definire le più svariate operazioni sullo spazio $V$, purché la terna $(V,+,*)$ soddisfi le proprietà elencate qui sopra 🙂 . D’ora in poi parleremo di spazio vettoriale $V$ per denotare questa terna, quindi si sottintende che esso sia equipaggiata di due operazioni come sopra.

Prodotto scalare

Dato uno spazio vettoriale $V$ possiamo introdurvi un prodotto scalare, che è un’operazione tra elementi $v,w\in V$ che soddisfa alcune proprietà. Vediamo quindi come definirlo:

Un prodotto scalare sullo spazio vettoriale $V$ è un’operazione $\langle\cdot\,,\,\cdot\rangle : V\times V\rightarrow \mathbb{R}$ tale che

  1. $\langle v,v \rangle \geq 0$ per ogni $v\in V$, ovvero è un’operazione definita positiva, in particolare è $=0$ se e solo se $v=0_V$.
  2. Sia simmetrica, ovvero $\langle v,w\rangle = \langle w,v\rangle$ per ogni $v,w\in V$.
  3. Sia bilineare, data la simmetria però basta la linearità rispetto al primo termine:
  • $\langle kv,w \rangle = k\langle v,w\rangle$ per ogni $k\in\mathbb{R}$ e $v,w\in V$.
  • $\langle v+v’,w\rangle = \langle v,w \rangle + \langle v’,w\rangle.$

Si dice il prodotto scalare essere degenere, e quindi non ben definito, se esiste un vettore $w\neq 0$ tale che

$\langle v,w \rangle = 0$ per ogni $v\in V$, ovvero un vettore $w\in V$ perpendicolare a tutti gli altri vettori di $V$.

Infatti il concetto di prodotto scalare, deve essere ricondotto da un punto di vista geometrico al concetto di proiezione ortogonale. In particolare quando si calcola $\langle v,w\rangle$ non si sta altro che cercando la lunghezza della proiezione di $v$ lungo $w$ (o viceversa) rispetto ad una particoalre proiezione.

Questo è un classico esempio dove lo spazio vettoriale usato è $\mathbb{R}^2$ e la proiezione standard, quella basata sul prodotto scalare euclideo.

Un prodotto scalare è in grado di definire una norma, ovvero una nozione di lunghezza, sullo spazio $V$. Per farlo si può semplicemente procedere così: $||v|| = \langle v,v \rangle ^{\frac{1}{2}}$ per ogni $v\in V$. L’idea dietro a questa definizione e di definire la norma come la lunghezza della proiezione di un vettore su se stesso.

Prima di proseguire, vediamo un’importante proprietà che segue da quelle che caratterizzano il prodotto scalare: la disuguaglianza triangolare.

Questa si può esprimere così: $||u+v||\leq ||u|| + ||v||$ per ogni $u,v\in V$. In termini pratici, hai già visto di sicuro questa disuguaglianza quando hai studiato i triangoli. Ricordi infatti che la somma delle lunghezze di due lati è sempre maggiore del terzo singolarmente? Ecco, se ogni lato lo vedi come un vettore tutto torna 😉

Se vuoi approfondire il concetto di prodotto scalare ti consiglio questa pagina: Prodotto scalare.

Proiezione ortogonale

Ci siamo, vediamo l’ultimo concetto per poi passare a parlare sul serio di spazi di Hilbert! 🙂 Se ti è capitato di studiare un minimo la geometria nello spazio euclideo $\mathbb{R}^n$, anche solo in $\mathbb{R}^2$ è sufficiente, certo saprai che in questo spazio è ben definito un prodotto scalare.

In particolare lo possiamo definire come segue presi due vettori $\vec{x},\vec{y}\in\mathbb{R}^n$, dove $\vec{x}=(x_1,x_2,…,x_n)$ mentre $\vec{y}=(y_1,y_2,…,y_n)$:

$\langle (x_1,x_2,…,x_n), (y_1,y_2,…,y_n)\rangle := x_1\cdot y_1 + x_2\cdot y_2 + … +x_n\cdot y_n = \sum_{i=1}^n x_i\cdot y_i.$

Grazie all’esistenza di un prodotto scalare possiamo anche parlare di proiezione ortogonale , che in termini intuitivi si equivale al concetto di ombra. Infatti ti sarai certamente accorto che, nella realtà, quando un oggetto come una matita è posto in posizione inclinata sopra una superficie, con una luce che lo illumina dall’alto, sul tavolo potrai vedere un’ombra. Bene, da un punto di vista matematico quest’ombra si chiama la proiezione ortogonale del vettore matita sul piano del tavolo 😉 .

In alternativa potresti anche proiettare un vettore su un altro vettore, rappresentando il concetto intuitivamente nello stesso modo.

Nell’immagine qui sopra non ho una luce perfettamente sopra la penna, ma il concetto penso sia chiaro. Infatti nonostante la luce venga un po’ in diagonale, abbiamo un ombra sul tavolo. Questa non sarà una proiezione ortogonale ma qualcosa di leggermente diverso, ma non curiamocene visto che non è questo il tema dell’articolo. La foto qui sopra vuole solo essere da immagine per capire ciò di cui stiamo parlando 😉

Per concludere, come si calcola la proiezione ortogonale (che d’ora in poi chiamerò solo con proiezione) di un vettore $v=(v_1,…,v_n)\in\mathbb{R}^n$ su un vettore $w=(w_1,…,w_n)\in\mathbb{R}^n$?

Beh, è molto semplice! Per trovare la lunghezza del vettore di proiezione basta fare il prodotto scalare tra i due vettori, poi basta trovare la direzione lungo la quale si trova $w$ e quindi moltiplicare la lunghezza della proiezione per questo vettore unitario di direzione 😉 Ma vediamo un po’ di conti che sono sicuro che ti chiariranno il concetto. Qui sotto denoteremo con $P_w(v)$ il vettore proiezione ortogonale di $v$ lungo il vettore $w$.

$P_w(v) = \langle v,w\rangle \frac{w}{||w||} = \frac{1}{\sqrt{w_1^2+…+w_n^2}}(w_1,…,w_n) \sum_{i=1}^n v_i\cdot w_i $.

Dove all’inizio vedi il vettore $w’= \frac{w}{||w||} $, intendo il vettore unitario di direzione lungo la quale vive il vettore $w$, infatti ho usato il vettore $w$ è l’ho diviso per la sua norma, così che $||w’||=1$. Chiaramente, visto che stiamo parlando di $\mathbb{R}^n$ mi è venuto naturale spiegarti questi concetti usando norma euclidea e il classico prodotto scalare euclideo, ma si può fare lo stesso discorso con un qualunque prodotto scalare e la relativa norma indotta. Infatti la prima uguaglianza qui sopra vale ancora, poi quando ho esplicitato i conti invece va sostituita la corretta norma e prodotto scalare.

Ci siamo! Ora siamo pronti per addentrarci negli spazi di Hilbert, che sostanzialmente ambiscono a definire questi strumenti su spazi più generali, a dimensione infinita in particolare. Ma non spaventarti, pian piano ti sarà tutto più chiaro.

Ti faccio una doverosa premessa…la parte storica qui sotto nomina parecchi concetti avanzati che provo a spiegarti ma se non li hai mai sentiti immagino sarà di difficile lettura. Per cui se ti interessa sapere cosa si nasconde nella storia dietro il concetto di Spazio di Hilbert ti consiglio di fare un tentativo, magari non capirai tutto ma in linea generale lo sviluppo e le motivazioni dietro questo oggetto matematico ti saranno chiari 🙂

Altrimenti, se al momento non hai voglia di cose difficili o se non ti interessa la parte storica e preferisci aspettare che esca la seconda puntata sulle proprietà e sugli esempi, ci possiamo salutare qui e amici come prima 😎 .

Un po’ di storia sugli spazi di Hilbert

Prima dello sviluppo del concetto di spazio di Hilbert, furono ottenute altre generalizzazioni degli spazi Euclidei $\mathbb{R}^n$, che erano note ed utilizzate sia da fisici che matematici. In particolare, l’idea di uno spazio lineare astratto maturò e ricevette sempre più interesse verso la fine del 19° secolo.

Questo spazio a cui si arrivò, era uno spazio i cui elementi potessero essere sommati tra loro e moltiplicati per uno scalare (un numero reale o complesso per esempio) senza però doverli necessariamente associare con il classico vettore geometrico di $\mathbb{R}^n$. Un esempio classico sono gli spazi di matrici, che godono tranquillamente di queste proprietà ma non sono intuitivamente associabili all’immagine di un vettore (in realtà si può fare questa associazione, ma non è necessaria per poter lavorare con le matrici).

Anche altri oggetti studiati dai matematici a cavallo del 20° secolo, in particolare gli spazi di sequenze e gli spazi di funzioni, possono essere naturalmente intesi come spazi lineari (ti ricordo che per spazi lineari, di per sè, intendiamo gli spazi vettoriali di cui abbiamo parlato prima 😉 ).

Le funzioni, per esempio, possono essere sommate tra loro e moltiplicate per una costante, e queste operazioni obbediscono alle classiche proprietà delle operazioni di somma e prodotto per uno scalare che rispettano i vettori nello spazio Euclideo.

Nel primo decennio del 20° secolo, sviluppi paralleli portarono all’introduzione degli spazi di Hilbert. Il primo di questi sviluppi fu l’osservazione, emersa quando David Hilbert e Erhard Schimidt stavano studiando le equazioni integrali (se non ne hai mai vista una ecco qui qualcosa che può esserti utile: equazioni integrali), che due funzioni quadrato sommabili a valori reali, $f$ e $g$, su un intervallo $[a,b]$ (ovvero $f,g:[a,b]\rightarrow\mathbb{R}$), ammettono un prodotto scalare:

$\langle f,g\rangle = \int_a^b f(x)g(x)dx$

che ha tutte le classiche proprietà a cui siamo abituati per il prodotto scalare dei vettori nello spazio $\mathbb{R}^n$ e di cui abbiamo parlato in generale nel paragrafo sopra.

Ah…per non spaventare nessuno, quando scrivo che una funzione è “quadrato sommabile”, intendo che l’integrale del quadrato della funzione è finito:

$\int_a^b f^2(x)dx < +\infty$.

Un esempio di funzione che non è quadrato sommabile è la funzione $f(x)=\frac{1}{\sqrt{x}}$ nell’intervallo $[0,1]$, infatti si ha:

$\int_0^1 \Big(\frac{1}{\sqrt{x}}\Big)^2dx = \int_0^1 \frac{1}{x} dx = \log{1}-\lim_{x\to 0^+} \log{x} = +\infty$.

Giusto per completezza, ti dico che lo spazio delle funzioni che hanno questa proprietà si denota solitamente con $\mathcal{L}^2([a,b])$ ed è uno spazio di Hilbert se equipaggiato del prodotto scalare definito qualche riga più in su.

Schmidt sfruttò le somiglianze tra questo prodotto interno (scalare) con il classico prodotto di $\mathbb{R}^n$ per dimostrare una versione ampliata del teorema spettrale dell’algebra lineare (se non lo conosci qui trovi una bella spiegazione: Teorema spettrale) per ottenere una decomposizione di un operatore della forma:

$f(x)\rightarrow \int_a^b K(x,y)f(y)dy$

con $K$ che è una funzione continua e simmetrica di $x$ ed $y$. Questo operatore è chiamato operatore di Hilbert-Schmidt 😎 (questa non tutti la capiranno, ma va bene così: symmetric 👉🏼 self-adjoint, smooth 👉🏼 compact!)

Il secondo sviluppo che portò alla costruzione della nozione di spazio di Hilbert fu l’integrale di Lebesgue. Questo è un’alternativa all’integrale di Riemann che solitamente si studia ad analisi 1 e che è poi quello che si vede anche in quinta superiore 😉

Questo “nuovo integrale” fu introdotto da Henri Lebesgue nel 1904 e permise di integrare più funzioni, una classe più ampia di funzioni. Questo integrale permise, nel 1907, a Frigyes Riesz e Ernst Sigismund Fischer di dimostrare, indipendentemente, che lo spazio $\mathcal{L}^2$ di cui ti ho parlato prima è uno spazio metrico completo.

La completezza è una proprietà fondamentale di $\mathbb{R}^n$ e questo non fa che aumentare le somiglianze tra gli spazi euclidei e questa nuova tipologia di spazi che questi grandi matematici stavano introducendo. Se non conosci il termine spazio completo ti consiglio di dare una letta qui, è spiegato in modo chiaro: Spazio metrico completo.

Come conseguenza naturale del forte legame tra la geometria dello spazio Euclideo e il risultato di completezza, i risultati del 19° secolo raggiunti da Joseph Fourier (se vuoi qui trovi un articolo che avevo scritto sulla Trasformata di Fourier che è strettamente legata con ciò di cui stiamo parlando), Friedrich Bessel e Marc-Antoine Parseval sulle serie di Fourier, o comunque sulle serie trigonometriche, si generalizzarono a questi spazi più ricchi e “potenti”. Andarono così a costituire la struttura geometrica e analitica del teorema di Riesz-Fischer.

Chiudo questa serie di teoremi importanti con il riferimento a un altro che è obbligatorio citare, il teorema di Rappresentazione di Riesz. Questo, in linea pratica, dice che ogni funzione lineare

$L(\alpha v + w) = \alpha L(v) + L(w)$, $\forall \alpha\in\mathbb{R}$ o $\mathbb{C}$ e $\forall v,w\in H$

e continua definita da uno spazio di Hilbert a $\mathbb{C}$ oppure $\mathbb{R}$ (a seconda del campo su cui $H$ è spazio vettoriale), che in gergo è chiamato funzionale lineare a continuo $L:H\rightarrow \mathbb{R}\,(L\in H’)$, può essere associata ad uno ed un solo elemento $v_L$ dello spazio di Hilbert, in modo che applicare la funzione $L$ ad un vettore $w\in H$ equivale a moltiplicare questo vettore $w$ per il rappresentante $v_L$:

$L(w) = \langle v_L,w \rangle$ per ogni $w\in H$.

Se ci pensi, è un po’ come la matrice associata univocamente ad ogni funzione lineare che si vede in algebra lineare (se non conosci questo risultato, qui trovi una spiegazione molto chiara : Matrice associata a un’applicazione lineare) , solo che qui va richiesta la continuità perché, su spazi a dimensione infinita, si possono costruire funzioni lineari ma non continue 😉 .

Bene, prima di passare alle motivazioni fisiche dello sviluppo della teoria sugli spazi di Hilbert, ci tengo a dirti che quest’ultimo teorema fu dimostrato in via indipendente da Maurice Fréchet e Frigyes Riesz nel 1907.

Ah..un’ultima cosa! Ma chi ha introdotto il termine SPAZIO DI HILBERT? Il colpevole è John von Neumann, che coniò il termine spazio di Hilbert astratto nel suo lavoro sugli operatori Hermitiani illimitati. Von Neumann fu di per sé il primo a fornire una trattazione completa e assiomatica di questi spazi, prima di lui i matematici li utilizzavano ma più per interesse fisico.

Ma quindi servono a qualcosa questi spazi? Sono usati per la fisica? Proprio così, la motivazione principale che portò alla formalizzazione di questi spazi fu il fornire una struttura matematica alla meccanica quantistica. Infatti gli stati in un sistema quantistico sono vettori in un certo spazio di Hilbert.

Ma non mi dilungo oltre su questo tema, dato che Gianluca sta trattando proprio questi aspetti nei suoi articoli! Il primo lo trovi qui: https://www.mathone.it/meccanica-quantistica-1/

P.S. Questa parte storica l’ho tradotta e rielaborata a partire dalla pagina inglese di Wikipedia, che se vuoi più dettagli puoi trovare qui: Wikipedia – Hilbert Spaces

Conclusione

Perfetto, con questa parte storica direi che può dirsi conclusa una prima panoramica su questi strani oggetti, gli spazi di Hilbert. Se hai notato nel corso dell’articolo ho disseminato link per tuoi eventuali approfondimenti, perché come mi piace dire spesso, qui sul blog non abbiamo l’obiettivo di insegnare nulla ma solamente di incuriosire e dare gli strumenti per approfondire 😉

Detto ciò, se può interessarti qui sotto trovi un video davvero molto chiaro sugli spazi vettoriali astratti (è inglese) e il link a un libro di testo in cui si parla anche di questo argomento (più in generale di analisi funzionale) che magari può interessarti. Inoltre ti ricordo che questa è solo la prima puntata di due e tre che farò sugli spazi di Hilbert, quindi ti aspetto per le prossime 😉 !

Il libro che ti voglio suggerirti è un classico dell’analisi funzionale e lo trovi qui: Functional Analysis, Sobolev Spaces and Partial Differential Equations .

Il video invece è questo:

Problemi del Millennio: I 7 Problemi da 1 milione di Dollari

Nella vita di un matematico in erba sarà capitato almeno una volta di sentir parlare degli altisonanti “Problemi del Millennio”. Ebbene: Cosa sono? Perché periodicamente ritornano in auge? Perché le soluzioni sono viste come il sacro Graal della matematica moderna?

Cerchiamo innanzitutto di fare ordine spiegandone l’origine. Poi ci concentreremo su cosa sono e perché in tutto il mondo si venderebbe l’anima al diavolo per poterne risolvere uno (perlomeno l’autore di queste poche righe lo farebbe, pertanto mi scuso per essere stato così generalista 🙂 ).

Prima di proseguire, ecco un libro che potrebbe interessarti ed è fatto molto bene: L’equazione da un milione di dollari 

Hilbert “il complessato”

8 agosto 1900. Parigi. Il mondo è in fermento. La famosa Esposizione di Parigi è in corso e la torre dell’ingegnere Eiffel è stata appena completata. Tuttavia la storia sta per ricordare quel giorno per un altro motivo: David Hilbert, visto già allora come una leggenda vivente (e di cui scriverò sicuramente in futuro), annuncia al “Congresso internazionale dei matematici” i suoi 23 problemi. La storia stava per cambiare.

I problemi, per ammissione stessa di Hilbert, non erano i problemi al tempo più difficili da risolvere ma erano delle questioni aperte la cui risoluzione si sarebbe rivelata fondamentale per lo sviluppo della società e delle scienze in generale. Essi spaziavano dall’algebra, all’analisi e al calcolo delle variazioni, alla teoria dei numeri fino alla fisica teorica intesa in senso moderno.

Originariamente i problemi non erano 23; Hilbert ne enunciò solo 10, gli altri arrivarono 2 anni dopo, nel 1902. Oggi molti problemi sono stati risolti (le medaglie Fields sono fioccate grazie alla risoluzione di anche uno solo di questi problemi), altre risposte sono ancora in fase di validazione, altri problemi sono ora considerati “non-ben posti” in quanto troppo vaghi o comunque non abbastanza precisi mentre solo due sono considerati ancora “problemi aperti”.

Filantropia portami via

Nel 1998 l’impreditore milionario filantropo Landon T. Clay fonda con sua moglie e con il matematico Arthur Jaffe in una piccola cittadina del Massachusetts quello cha da li a poco sarebbe diventato l’Istituto matematico Clay (Clay Mathematics Institute o CMI). L’intento era di creare un ente privato no-profit dedicato all’accrescimento ed alla diffusione della conoscenza della matematica.

Ad oggi l’associazione è famosa soprattutto per il Millenum Prize Problems ma si occupa a tutti gli effetti di volontariato tot court: ogni anno borse di studio vengono erogate per studenti promettenti, summer schools vengono organizzate e sostenute nonché convegni, conferenze pubbliche e attività di pubblicizzazione della matematica rivolte soprattutto ai giovani, dal livello dei diplomati fino a quello dei ricercatori.

I modesti “Problemi del Millennio”

Il 24 maggio 2000, durante il Convegno del Millennio a Parigi (del resto non poteva non essere a Parigi e non chiamarsi così 🙂 ), sulla falsa riga dell’idea di Hilbert di un secolo prima, l’istituto Clay pubblica una lista di 7 problemi ancora irrisolti. Allo stesso tempo viene pubblicata anche la procedura con la quale le eventuali soluzioni saranno verificate, nonché il premio che l’istituto offrirà al primo che avanzerà una soluzione accettabile di almeno un problema: l’esorbitante cifra di un milione di Dollari (come se la gloria eterna non fosse già abbastanza).

Come nell’idea originale di Hilbert, questi non sono né i più difficili da dimostrare computazionalmente, né i problemi con le dimostrazioni più difficili: sono solo una lista di problemi estremamente importanti. Va notato inoltre come la lista proposta dal Clay Institute sia tutt’altro che esaustiva! Tuttavia molte soluzioni di problemi quantomai attuali possono essere corroborate o smentite grazie agli strumenti matematici che la soluzione a uno dei problemi del millennio può fornire (si veda per esempio alcune possibili soluzioni alla gravitazione quantistica o della rinomata Teoria delle Stringhe).

Attualmente solo uno ne è stato risolto (dunque i milioni a disposizione, se la matematica non è un’opinione, e non lo è, sono ancora 6) e rispetto alla lista originale di Hilbert ne ricompare solo uno e probabilmente il più famoso…

Vediamo dunque quali sono questi famigerati problemi! Ne darò solo un assaggio (un libro intero non potrebbe bastare solo per uno solo, figuriamoci per tutti e 7 😉 ) e mi soffermerò in particolar modo su quelli che mi hanno toccato in prima persona in una maniera o nell’altra.

1. Congettura di Poincaré (Unico problema attualmente risolto)

Il problema è a cavallo tra la Topologia e la Geometria Differenziale. È stato risolto nel 2003 grazie soprattutto al contributo del ninja della matematica, il russo Grigori Perelman.

Attualmente è uno dei matematici più famosi al mondo
Dopo che gli venne riconosciuta la paternalità del risultato, si tentò subito di fargli recapitare il premio a 6 zeri. Perelman, con nonchalance, rifiutò.

E fin qui uno può dire: ”Ok”. Nel mentre si procedette a proclamarlo vincitore della medaglia Fields. Perelman, testardamente, rifiutò anche quella. Ok. La sua motivazione è stata ”il mio contibuto non è stato poi così importante”. Ok. Adesso vive con la madre nella periferia di San Pietroburgo. De gustibus verrebbe da dire… della serie: fate vobis.

Per scoprire qualcosa in più sul problema in sè, per niente facile da descrivere in poche righe, qui utile ad introdurlo:

2. P versus NP (probabilmente verrà risolto nei prossimi 50 anni)

Immaginate di essere al ristorante; davanti a voi avete un menù lungo 10 pagine. Vi viene chiesto di dire tutte le possibile combinazioni di piatti, in ogni quantità vogliate, la cui somma dia, diciamo, 46,00€.

Questo problema può essere facilmente reso più difficile aggiungendo magari qualche costrizione, come per esempio “bisogna prendere almeno una porzione di Strudel della nonna di Erik” (una volta assunto che sia nel menù 😉 ). Bene, ma non benissimo.

Questo è il Knapsack Problem (problema dello zaino).Questi tipi di problemi sono detti NP-completi. Ovviamente è molto facile verificare se una soluzione è valida; totalmente diverso è trovarla!

Adesso la questione è: problemi che hanno la verifica semplice di un’ipotetica soluzione, hanno anche almeno un algoritmo semplice per trovarla?

Innanzitutto bisogna capire cosa vuol dire semplice… per comodità diciamo che un algoritmo semplice è uno che ci mette al più un tempo polinomiale rispetto alla grandezza dell’input per terminare. I problemi per cui ciò accade vengono detti P da polynomial appunto. I problemi invece per cui è richiesto un tempo polinomiale per verificare se la soluzione è corretta, sono detti NP (da Nondeterministic Polynomial time).

Molti sono convinti che P non sia equivalente a NP, ma attualmente nessuno sa la risposta. Se per caso un giorno si mostrerà che P=NP, beh vi consiglio di correre in banca a ritirare i vostri soldi prima e cancellarvi da Facebook poi. Le vostre passwords non serviranno più a nulla.

3. Esistenza e regolarità delle soluzioni delle equazioni di Navier-Stokes.

Il problema è forse il più attuale in fisica matematica e nel campo dell’Analisi Reale.

Le equazioni (meglio, sistema di equazioni) descrivono il moto di un fluido in regime turbolento.

Sappiamo già risolvere le equazioni nel caso laminare (il caso per esempio dell’aria che passa sul parabrezza della vostra macchina quando siete in movimento), ma il caso turbolento è tutto un altro paio di maniche.

Per completezza scrivo di seguito la famosa equazione nel caso di un fluido compressibile (l’aria per esempio lo è, l’acqua no)

dove indica la velocità del fluido, è la pressione del fluido, è la viscosità dinamica del fluido e è la densità del fluido.

A sinistra puoi vedere un fluido nel regime turbolento, a destra nel regime laminare.

4. Congettura di Riemann

Un classico. Famosissimo e rinomatissimo. Esso fa parte sia dell’analisi complessa sia della teoria dei numeri. É l’unico tra i 7 problemi del millennio che faceva già parte dei problemi di Hilbert. Tutto si basa sulla funzione (si legge zeta) di Riemann(-Eulero).

La funzione, scoperta da Eulero e poi estesa da Riemann, è la seguente

dove è un numero complesso. È già dimostrato che la serie converge (cioè la somma non va a , che è un bene) per .

L’ipotesi di Riemann dice che gli zeri non-banali di questa funzione si distribuiscono sulla retta complessa .

Ci si potrebbe benissimo chiedere perché questa funzione sia così importante… Ebbene, verificare se un numero è primo oppure no richiede un sacco di tempo. Per esempio 31, 331, 3331, 33331, 333331, 3333331, 33333331 sono tutti primi.

Ma per qualche stramaledetta ragione, 333333331 non lo è!! Risolvere la congettura di Riemann ci potrebbe dare uno strumento potentissimo per la risoluzione di problemi di questo tipo.

5. Esistenza di Yang–Mills e differenza di massa

Siamo di nuovo nella Fisica-Matematica, questa volta nella teoria quantistica dei campi. Chiariamo la situazione; la Teoria di Yang-Mills è un insieme di equazioni che predicono il comportamento di un sistema di particelle all’interno di un campo quantistico.

Un campo quantistico a sua volta è una struttura matematica che segue un certo numero di regole.

Bene. Questo problema richiede una dimostrazione che Young e Mills hanno fatto solo per spazi euclidei di dimensione 4 e può predire in modo corretto il comportamento di particelle di massa maggiore di zero (cioè tutte quelle con cui abbiamo a che fare tutti i giorni, ma non i fotoni tanto per capirci).

Questa dimostrazione tuttavia non è basata su una teoria matematica solida, sebbene il risultato sia probabilmente vero (ad oggi non ci sono evidenze sperimentali che la contraddicano).

La riformulazione della soluzione porterà probabilmente alla nascita di una nuova matematica.

6. Congettura di Hodge

Topologia algebrica e Geometria Algebrica. Eh? Niente paura, tanti si spaventano… L’origine della geometria è insita nel procedimento di prendere oggetti (anche astratti) semplici e farne delle combinazioni per renderli più complicati.

La congettura di Hodge dice che per un particolare tipo di spazio, chiamato spazio algebrico proiettivo, gli spazi che lo compongono sono combinazioni lineari di strutture geometriche.

La difficoltà nel riuscire a dimostrarlo risiede anche nella difficoltà a comprenderlo. Ancora non è stato compreso a fondo e probabilmente la sua soluzione richiederà molta matematica “nuova”.

7. Congettura di Birch e Swinnerton-Dyer

Teoria dei numeri – Questo problema è il più difficile di quelli enunciati. Potrebbe non essere mai risolto.

Esso è relativo all’equazione diofantea preferita da tutti ( le equazioni diofanteee, che prendono il nome da Diofanto, sono equazioni algebriche la cui particolarità è che le soluzioni devono essere numeri interi), cioè

Euclide ha risolto questo problema per la dimensione 2. Per curve più complicate questo diviene più difficile e sopratutto non ci sono metodi generali per risolverlo!

Questa affascinante congettura dice che la dimensione del gruppo dei numeri razionali che risolvono l’equazione è in qualche modo legata alla Funzione Zeta di Riemann (sempre Lei!) valutata in quel punto!

Cioè se è zero, ci sono infiniti punti razionali che la soddisfano, altrimenti sono finiti.

Come faccio a ottenere il premio?

Bene, siamo alla fine. ma ora la domanda è: come faccio a ottenere il premio nel caso abbia trovato la soluzione di uno dei problemi del millennio?

Innanzitutto la soluzione deve essere scritta sottoforma di articolo e essere pubblicata su una rivista di prestigio internazionale. Dopo ciò, il Clay Institute provvederà a formare una commissione con il compito di verificare innanzitutto se la proposta merita una certa considerazione. A questo punto possono essere già passati anche un paio d’anni. La commissione di addetti dovrà ora comprovare l’effettiva correttezza della soluzione, cosa che non è affatto banale. La commissione può avvalersi dell’opinione di qualche membro esterno riconosciuto a livello internazionale come esperto in quel determinato campo. Nel mentre bisogna anche verificare l’effettiva paternalità del risultato: al di là del fatto che può essere stata copiata, può anche essere la rivisitazione di un’idea già usata per un altro problema con tutt’altro intento!

Nel caso la commissione non arrivi a nessuna decisione, nessun premio verrà assegnato. Perlomeno non fino a che altri dettagli verranno svelati. Nel caso invece in cui abbiate pubblicato la giusta soluzione, beh allora la procedura che dovete seguire è la seguente (anche se dubito che Perelman l’abbia seguita):

  1. Sedetevi
  2. Prendete una bella boccata d’aria
  3. Chiamate vostra mamma e ditele che da quel giorno avrà un motivo in più per essere fiera di voi
  4. Chiamate vostra moglie (o marito) e dite di tenersi forte, perché state per essere proiettati nella storia: l’Olimpo della matematica ha aperto i cancelli.

Au revoir

Erik

Ceterum censeo festascienze esse facendam