Fondamenti di teoria delle curve

Qualunque corso di base di geometria differenziale, inizia parlando di curve e superifici. Ho quindi pensato di iniziare questa serie di post che dedicherò alla geometria differenziale con un paio di articoli sulle curve e un altro paio sulle superfici.

Il mio intento è provare a spiegare i concetti fondamentali di quest’area della matematica, senza l’ambizione di essere esaustivo (per quello ci sono i libri di testo) ma con l’obiettivo di far arrivare l’intuzione dietro a concetti molto astratti quali quello di varietà. Cercherò di farlo tramite esempi e spiegazioni discorsive quando possibile.

Ovviamente ci saranno anche definizioni, enunciati e risultati matematici, però eviterò spesso di proporre le dimostrazioni (per le quali però darò delle referenze). In questo articolo e nel prossimo, dedicati alle curve, farò riferimento ad un libro per me davvero ottimo, ovvero l’Abate Tovena. Ti consiglio davvero di leggerne almeno i pezzi più importanti.

Ma veniamo quindi a questi due articoli…cosa esploreremo della teoria delle curve? Ho pensato di organizzarlo nei seguenti punti:

  • Definizione del concetto di curva
  • Cos’è la parametrizzazione con lunghezza d’arco
  • Cosa sono curvatura e torsione
  • Triedro di Frenet-Serret
  • Cos’è il grado di una curva
  • Cosa intendiamo per intorno tubolare di una curva

Cos’è una curva?

Iniziamo subito con la definizione, per poi passare a qualche esempio che di sicuro chiarirà il concetto.

Definizione (Curva parametrizzata) Una curva parametrizzata in $\mathbb{R}^n$ è una mappa $\sigma: I \rightarrow\mathbb{R}^n$, dove $I$ è un intervallo della retta reale. Diciamo $t\in I$ il parametro della curva, che definisce un punto (almeno) $\sigma(t)$ lungo quello che è chiamato sostegno della curva, ovvero l’immagine $\sigma(I)\subset\mathbb{R}^n$. Supposto $I=[a,b]$, diciamo $\sigma$ una curva chiusa se $\sigma(a)=\sigma(b)$.

In base a quante volte possiamo derivare la mappa $\sigma$, possiamo definire la regolarità della curva. Più precisamente, se la curva ammette le prime $k$ derivate continue, allora la curva sarà almeno di classe $C^k$.

Prima di sviscerare per bene la definizione, ci tengo a soffermarmi su una cosa importante ovvero

L’idea di curva che abbiamo di solito è di un sottoinsieme di $\mathbb{R}^n$, dato che se ti chiedono di disegnare una curva sul foglio vai a colpo sicuro. Però matematicamente è importante fare distinzione tra l’immagine in $\mathbb{R}^n$ della curva (ovvero quello che disegnamo), e la curva (parametrizzata) stessa.

Per fissare questo concetto, direi che è ora di vedere un esempio! Vediamo quindi due curve diverse, i cui sostegni però coincidono. Ovvero, in parole povere, i due disegni delle curve coincidono ma le loro parametrizzazioni no.

Esempio Consideriamo due curve $\sigma,\gamma : [0,2\pi]\rightarrow \mathbb{R}^2$ definite come segue:

  • $\sigma(t) = (\cos{t},\sin{t})$
  • $\gamma(t) = (\cos{(2t)}, \sin{(2t)})$.

Intanto vediamo che essendo entrambe le componenti di queste curve delle funzioni trigonometriche, queste curve possono essere derivabili infinite volte e quindi sono curve di classe $C^{\infty}$.

Probabilmente hai già visto queste curve e sai già come rappresentarle, però ho pensato di mostrarti un’animazione in cui è evidente come stiamo parametrizzando ciascuna curva:

https://www.mathone.it/wp-content/uploads/2021/05/SquareToCircle-1.mp4
Qui puoi vedere due punti che scorrono sulla circonferenza unitaria, uno alla velocità doppia dell’altro..ovvero nel tempo in cui un punto fa un singolo giro, l’altro ne fa 2, esattamente come descritto dalle parametrizzazioni viste sopra (il video è realizzato con Manim).

Non c’è molto da approfondire della definizione vista poco fa, se non il fatto che non necessariamente una curva è definita su un dominimo che è un aperto (intervallo) della retta reale. Per esempio, nel caso l’intervallo $I$ sia un insieme compatto (per esempio nel caso $I=[a,b]$) possiamo estendere la definizione della curva su un aperto che contiene tale insieme $I$ propriamente.

Una cosa molto interessante da precisare è che non necessariamente le curve che consideriamo sono iniettive. Un esempio di questa possibilità l’abbiamo visto con la parametrizzazione $\gamma$ vista sopra. Ciò significa che potremmo avere due punti distinti dell’intervallo $I$ che sono mandati nello stesso punto di $\mathbb{R}^n$. Un altro classico esempio è fornito dalla seguente curva:

$$ t\in\left(-\frac{\pi}{2},\frac{3}{2}\pi\right)\mapsto (\cos{t},\sin{t}\cos{t}) $$

Ciò significa, in particolare, che non tutte le curve parametrizzate devono essere rappresentate da un omeomorfismo dell’intervallo $I$ sul sostegno della curva, nel caso tu abbia già utilizzato questo concetto 😎

Un altro classico esempio di curva che di sicuro avrai utilizzato in passato, è quello ottenibile dal grafico di una funzione. Supponi infatti di avere una funzione $f:I\rightarrow\mathbb{R}^{n-1}$ di classe $C^k$. Allora essa definirà il sostegno di una curva, altrettanto regolare, parametrizzata come segue $\sigma:I\rightarrow\mathbb{R}^n,$ $\sigma(t) = (t,f(t))$.

Prima di passare a vedere il concetto di parametrizzazione tramite lunghezza d’arco, direi che è molto interessante (anche da un punto di vista applicativo) parlare di riparametrizzazione di curve e di curve equivalenti.

Date due curve parametrizzate $\sigma: I \rightarrow\mathbb{R}^n$, $\sigma’:\tilde{I}\rightarrow \mathbb{R}^n$ di classe $C^k$, diciamo che esse sono equivalenti se esiste un diffeomorfismo (funzione differenziabile e invertible, con inversa differenziabile) $h:\tilde{I}\rightarrow I$ della stessa regolarità, tale che $\sigma’ = \sigma\circ h$. Si dice quindi che $\sigma’$ è una riparametrizzazione di $\sigma$.

Prima abbiamo per esempio visto la riparametrizzazione $t\rightarrow 2t$ per muoverci al doppio della velocità lungo la circonferenzia unitaria.

Questo esempio, è anche uno dei vari che potremmo fare per parlare di curve chiuse. Chiaramente le curve chiuse non sono iniettive. La nozione di curva chiusa è stata introdotta nella definizione all’inizio di questa sezione, ma non mi ci soffermo più di tanto dato che penso sia abbastanza intuitivo. Giusto per non trascurare nulla però, ecco un altro esempio di curva chiusa: $$ t\in [0,6\pi]\mapsto (1+\sin{t}, 3+3(\cos{t})^3) $$

Parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco

Essendo che in tutta la serie di articoli che sto iniziando con questo parleremo di geometria differenziale, vogliamo almeno essere in grado di calcolare le derivate prime degli oggetti che introduciamo. Nel caso delle curve, parametrizzate da $\sigma(t)$, vogliamo quindi che la funzione sia almeno di classe $C^1$.

Un ottimo modo per vedere una curva parametrizzata e capire anche il senso della sua derivata, è quello di pensare in termini fisici. Infatti se noi ci riferiamo al parametro $t\in I$ come un tempo, possiamo dire che il sostegno della curva rappresenta la strada percorsa da una particella in $\mathbb{R}^n$ nell’intervallo temporale $I$.

Ogni particella, oltre ad una strada che percorre, è anche caratterizzata da una velocità con cui la percorre. In un qualche modo (complicato) abbiamo già visto il concetto di velocità di percorrenza di una curva quando abbiamo introdotto la nozione di curve equivalenti. Infatti in tal caso abbiamo detto che due curve sono equivalenti se hanno lo stesso sostegno, il quale è però "coperto" in tempi diversi, ovvero con velocità diverse.

La velocità di una particella, non è altro che la derivata temporale della sua traiettoria. Nel caso quindi di una curva parametrizzata $\sigma(t) = (\sigma_1(t),…,\sigma_n(t))$, possiamo calcolare la derivata che sarà ancora un vettore di $\mathbb{R}^n$ definito come $\dot{\sigma}(t) = (\dot{\sigma}_1(t), … ,\dot{\sigma}_n(t))$. Questa derivata, come siamo abituati a pensare per qualsiasi funzione $f$, geometricamente rappresenta il vettore tangente nel punto $\sigma(t)\in\mathbb{R}^n$ al sostegno della curva in $\sigma(t)$.

Vediamo quindi un esempio di curva parametrizzata con rispettivo calcolo e rappresentazione del vettore tangente. Consideriamo la curva $\sigma(t) = (t,\sin{t})$ con $t\in [0,2\pi]$. La sua derivata definisce il vettore tangente $\sigma’(t) = (1,\cos{t})$ ottenuto semplicemente derivando le singole componenti rispetto a $t$. Qui sotto puoi vedere la rappresentazione grafica di ciò che stiamo facendo:

Una definizione importante in questo contesto è quella di curva regolare.

Diciamo una curva $\sigma:I\rightarrow\mathbb{R}^n$ regolare se per ogni $t\in I$, si ha $\sigma’(t)\neq 0\in\mathbb{R}^n$.

Prima di vedere un esempio di curva non regolare, ci tengo a stressare il fatto che nel caso di curve derivanti dal grafico di una funzione $f$, non avremo mai punti non regolari, ovvero dove la velocità è zero. Infatti tutte le curve di questo tipo prendono la forma $\sigma(t) = (t,f(t))$ e quindi $\sigma’(t) = (1,f'(t))$ che è sempre diverso dal vettore nullo.

Ecco un semplice esempio di curva non regolare: $\sigma(t) = (t^2,t^3)$ con $t\in [0,1]$. Infatti qui abbiamo $\sigma’(t) = (2t,3t^2)$ che si azzera in $t=0$. Ecco qui il grafico di questa situazione:

Come puoi vedere, il vettore tangente continua ad allungarsi mano a mano che $t$ cresce, però coincide con il vettore nullo nel caso $t=0$.

Questo allungamento del vettore tangente, non è sempre una cosa desiderabile dato che ci impone di "portarci dietro" delle normalizzazioni per definire concetti quale curvatura o torsione della curva. Ecco quindi che entra in gioco la parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco di cui volevo parlarti in questa sezione.

Una curva $\sigma$ di classe $C^k$, con $k\geq 1$, che è parametrizzata rispetto alla lunghezza d’arco ha $|\sigma’(t)|\equiv 1$.

Parleremo di curve parametrizzate rispetto alla lunghezza d’arco quando la velocità istantanea di queste è unitaria in termini di modulo. Ogni sostegno di una curva ammette una ed una sola parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco. E’ abbastanza chiaro poi che nel caso di questa scelta della parametrizzazione, il vettore tangente non potrà mai annullarsi e quindi avremo sempre curve regolari.

Per tutte queste belle proprietà, spesso questa parametrizzazione viene chiamata parametrizzazione naturale. Per riferirci ad una curva parametrizzata in questo modo, invece di $t$ useremo il parametro $s$. Vediamo quindi un semplice esempio.

Consideriamo la curva $\sigma(t) = (r\cos{t},r\sin{t})$, con $t\in [0,2\pi]$. Essa chiaramente non ha vettore tangente in norma unitaria, quindi questa non è una parametrizzazione naturale della circonferenza unitaria. Cerchiamo quindi di ricavarla.

Per ricavare il parametro lunghezza d’arco di $\sigma$ possiamo ricorrere alla seguente definizione

Consideriamo una curva $\sigma:I\rightarrow\mathbb{R}^n$ di classe $C^k$ con $k\geq 1$. Fissato un $t_0\in I$, la lunghezza d’arco di $\sigma$ a partire da $t_0$ è la funzione $s:I\rightarrow \mathbb{R}$ data da $$ s(t) = \int_{t_0}^t |\sigma’(r)|dr. $$

Ciò ci porta a dire che una curva è parametrizzata rispetto alla lunghezza d’arco se e solo se $s(t) = t-t_0$, ovvero se a meno di traslazioni $t$ coincide con $s(t)$.

Torniamo quindi al nostro esempio. In questo caso $\sigma’(t) = (-r\sin{t},r\cos{t})$ e quindi $|\sigma’(t)|=r$. Possiamo quindi calcolare la lunghezza d’arco di questa curva tramite l’integrale visto poco fa, ovvero $$ s(t) = \int_{t_0}^t |\sigma’(r)|dr = r(t-t_0). $$ Questo implica che, scegliendo $t_0=0$, otterremo la lunghezza d’arco $s(t) = rt$.

Se quindi sostituiamo a $t$, la quantità $s/r$ nella parametrizzazione $\sigma(t) = (r\cos{t},r\sin{t})$ otterremo una curva parametrizzata rispetto alla lunghezza d’arco $s$ : $$\sigma(s/r) = \left(r\cos{\left(\frac{s}{r}\right)},r\sin{\left(\frac{s}{r}\right)}\right) = \tilde{\sigma}(s).$$ Se infatti calcoliamo la norma del vettore tangente a $\tilde{\sigma}$ otterremo $|\tilde{\sigma}'(s)|=\left(r^2\left(\frac{1}{r^2}\cos{(s/r)}^{2}+\frac{1}{r^2}\sin{(s/r)}^2\right)\right)^{1/2} = 1$.

Puoi divertirti ora a calcolare la parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco di tutte le curve che abbiamo visto negli esempi sopra 🤙🏻

Prima di passare alla prossima sezione, direi che è un buon momento per vedere un altro esempio molto interessante. Infatti di sicuro hai avuto modo di disegnare e studiare delle rette del piano o dello spazio. Queste sono curve tanto quanto quelle "che curvano" e abbiamo visto fino ad adesso. Ecco quindi brevemente quello che possiamo fare per parametrizzare una retta del piano e come trasformarla rispetto alla lunghezza d’arco. La retta che consideriamo è della forma $\sigma(t) = (t,mt+q)$, la cui derivata è $\dot{\sigma}(t) = (1,m)$. Intanto notiamo una cosa molto importante, ovvero che il vettore tangente che abbiamo trovato è costante, cosa che non è successa per nessuna delle curve precedenti.

La norma di tale vettore è costantemente uguale a $|\dot{\sigma}(t)| = \sqrt{1+m^2}$.

Abbiamo quindi visto che la lunghezza d’arco rispetto a $t_0=0$ è $s(t) = t\sqrt{1+m^2}$. Se sostituiamo $t = s/\sqrt{1+m^2}$ otteniamo la riparametrizzazione della retta rispetto alla lunghezza d’arco : $$ \sigma\left(\frac{s}{\sqrt{1+m^2}} \right) = \left(\frac{s}{\sqrt{1+m^2}},s\frac{m}{\sqrt{1+m^2}} + q \right). $$

Ottimo, ora siamo pronti per vedere in modo più chiaro cosa intendiamo con la frase la retta non è una curva che cuva mentre le altre che abbiamo visto sì. In particolare vedremo che una retta è una curva con curvatura zero.

Curvatura e torsione

Nel concludere la precedente sezione abbiamo realizzato che il vettore tangente ad una retta è costante e ciò si è verificato solo in quel caso. Possiamo quindi pensare ad una "curva che curva" come una curva il cui vettore tangente non è costante rispetto al parametro $t$ o $s$ nel caso della lunghezza d’arco.

Il vettore tangente a $\sigma(t)$, qualora essa sia una curva regolare e di classe almeno $C^1$, è sempre derivabile ed ha norma sempre maggiore di zero. Per cui possiamo tranquillamente anche definire una normalizzazione di questo vettore, semplicemente dividendo $\sigma’$ rispetto alla sua norma. Il motivo per cui vogliamo fare ciò, è che ci interessa parlare di come il vettore tangente varia lungo la curva, ma non ci interessano variazioni in norma, ma solo in direzione. E’ infatti intuitivo pensare a come una "curva curvi" parlando della variazione in direzione di tale vettore tangente.

Ecco quindi quello che possiamo chiamare versore tangente a $\sigma:I\rightarrow\mathbb{R}^n$ di classe $C^k$: $$ u(t) = \frac{\sigma’(t)}{|\sigma’(t)|}$$ che è una ben definita funzione da $I$ a $\mathbb{R}^n$ di classe $C^{k-1}$.

Una cosa importante da notare è che nel caso $\sigma$ sia parametrizzata rispetto alla lunghezza d’arco, abbiamo $|\sigma’(s)|\equiv 1$. In tal caso quindi abbiamo semplicemente $u(s) = \dot{\sigma}(s) = d\sigma(s)/ds$.

Ora abbiamo tutti gli strumenti per poter parlare di curvatura, semplicemente come norma della derivata del versore tangente. Infatti l’unico modo in cui può variare il versore tangente è in direzione, dato che la sua norma è fissata, quindi tale derivata misura effettivamente quanto la nostra curva $\sigma$ curva.

Definiamo quindi la curvatura di $\sigma$ come la funzione $k:I\rightarrow\mathbb{R}^+$ di classe $C^{k-2}$ data da $$ k(s) = |\dot{u}(s)| = |\ddot{\sigma}(s)|. $$ Introduciamo anche un’altra notazione, che ci verrà comoda anche per i ragionamenti futuri, ovvero quella di curva biregolare. Abbiamo visto che una curva è regolare se la sua derivata non si annulla mai, mentre è biregolare se la sua curvatura non è mai zero.

E’ quindi un ottimo momento per vedere qual è la curvatura della retta che abbiamo parametrizzato rispetto alla lunghezza d’arco prima, ovvero $$ \sigma(s) = \left(\frac{s}{\sqrt{1+m^2}},s\frac{m}{\sqrt{1+m^2}} + q \right). $$ La derivata è $$ \dot{\sigma}(s) = \left(\frac{1}{\sqrt{1+m^2}},\frac{m}{\sqrt{1+m^2}}\right) = u(s). $$ La curvatura è quindi la norma di $$ \ddot{\sigma}(s) = \left(0,0\right). $$ Ecco quindi "mostrato" che la curvatura di una retta è 0, come avevamo intuito in precedenza ma ora è più rigoroso.

Il perfetto esempio di "curva che curva" è una circonferenza, in tal caso vedremo che la curvatura è costante. La curvatura infatti ci fornisce un valore che è il reciproco di quello che chiamiamo raggio di curvatura. Data una curva $\sigma(s)$ ed un punto $\sigma(\bar{s})$ su essa, possiamo localmente vedere l’archetto nel sostegno intorno al punto $\sigma(\bar{s})$ come l’arco di una circonferenza, questa circonferenza avrà raggio pari a $1/k(\bar{s})$, ed è chiamato raggio di curvatura. Chiaramente tale raggio di curvatura è ben definito solo per curve biregolari, dato che dividiamo per la curvatura che deve essere diversa da zero. Nel caso di curvatura nulla, possiamo invece pensare ad un raggio di curvatura "infinito".

Per capire meglio il concetto ecco un paio di grafici legati alla curva $\sigma(s) = (\log{(s+\sqrt{1+s^2})}, \sqrt{1+s^2}) $ che dovrebbero aiutare:

Qui sopra abbiamo la circonferenza che nel punto $(0,1)$ è in grado di descrivere il modo in cui essa curva, che ha raggio $1 =1/k(0)$. Penso che con queste immagini sia parecchio chiaro cosa intendiamo per curvatura e raggio di curvatura, nel caso ciò non lo sia non farti problemi a scrivere un commento sotto all’articolo 👌.

Oltre al versore tangente, possiamo anche definire un altro vettore molto importante per la curva $\sigma$, che è il versore normale. Intanto notiamo subito una cosa interessante, ovvero che la derivata del versore tangente $\dot{u}(s)$ è perpendicolare al vettore tangente $u(s)$ rispetto al prodotto scalare standard di $\mathbb{R}^n$. Infatti sappiamo che la norma di $u$ è costanetemente uguale a $1$ per costruzione, e quindi $u^T(s)u(s) \equiv 1$. Ciò implica che, se deriviamo entrambi i membri dell’equazione, otteniamo $\dot{u}^T(s)u(s) \equiv 0$, ovvero che $u(s)$ è ortogonale a $\dot{u}(s)$ per ogni $s$.

Possiamo quindi semplicemente normalizzare il vettore normale appena trovato e definire il versore normale alla curva nella posizione $s$. Esso è $n(s) = \dot{u}(s) /|\dot{u}(s)| = \dot{u}(s)/k(s)$. La curva $\sigma(s)$ localmente vive anche in un piano molto particolare, quello che è chiamato piano osculatore. Esso è quello definito dal vettore tangente e dal vettore normale appena definiti, ovvero $\sigma(s) + Span(n(s),u(s))$. Esso varia con $s$ ed è proprio questa variazione che ci permette di definire un altro concetto super importante per la teoria delle curve, ovvero quello di torsione.

Ah..prima di passare a parlare di torsione, ci tengo a dire che il versore normale e la curvatura sono calcolabili anche senza avere disponibile la parametrizzazione rispetto alla lunghezza d’arco, però ho deciso di non trattarla in questo articolo. Se però ti interessa, puoi per esempio andare a studiarti il lemma 1.3.10 del libro Abate Tovena.

Andando ad intuito, come definiresti una curva piana? Probabilmente ti verrà da pensare a delle curve nel piano cartesiano o, se hai un po’ più di esperienza in termini matematici, parlerai di curve in spazi di dimensione più alta ma che però sono contenuti in un singolo piano.

Avendo però appena introdotto cosa intendiamo per piano osculatore, possiamo quindi definire rigorosamente cosa intendiamo per curva piana:

Una curva piana è una curva per la quale il piano osculatore è costante per ogni $s$.

Tuttavia una curva è abbastanza chiaro che possa uscire da un piano, e quindi il piano osculatore torcersi. Per provare a chiarire l’idea, ecco qui un’immagine:

Chiaramente questa curva non sta tutta sullo stesso piano. Calcolare il piano osculatore di questa curva, di parametrizzazione $\sigma(t) = (\cos{t},\sin{t},t)$ passando per la lunghezza d’arco, sarebbe bello intricato e quindi evitiamo. Se però ti va di provare a farlo, ti consiglio di andarti a recuperare la formula menzionata prima (lemma 1.3.10 del libro).

Ora ci concentriamo sulle curve nello spazio $\mathbb{R}^3$. Una cosa molto interessante, è che un piano nello spazio $\mathbb{R}^3$ è unicamente identificato dal vettore normale ad esso. Ricordando quindi che il piano osculatore, nel quale la curva sta in un intorno di un suo punto, è definito dai versori tangente e normale, possiamo calcolare l’unico versore ad essi ortogonali. Questo definirà univocamente tale piano osculatore.

Tale vettore ha anche un nome, è infatti chiamato versore binormale. Esso è definito come $b = u\wedge n$ dove $\wedge$ definisce il prodotto vettoriale tra il versore tangente e il versore normale. Il motivo per cui esso abbia norma 1, e quindi possa essere chiamato versore, è che $u$ e $n$ sono ortogonali e $|b|= |u|\cdot|n|\cdot|\sin{\alpha}| = |u|\cdot|n| = 1$, dove $\alpha$ è l’angolo tra i due vettori, che in questo caso è $\pi/2$.

Tutto ciò ha anche una denominazione, infatti i versori tangente, normale e binormale sono particolarmente rilevanti per lo studio delle curve nello spazio, essi sono chiamati (insieme) triedro di Frenet-Serret associato alla curva $\{u(s),n(s),b(s)\}$.

A questo punto possiamo concludere la nostra discussione definendo cosa si intende per torsione e vedendo un modo semplice per caprie se una curva è piana. Diciamo infatti una curva biregolare piana, se il vettore binormale è sempre costante, infatti esso definisce il vettore ortogonale al piano osculatore. Se quindi lui non varia al variare di $s$, allora nemmeno il piano osculatore lo farà. Di conseguenza, anche il sostegno della curva sarà interamente contenuto in un piano.

Tutto quest’ultimo ragionamento ci porta al dire che il vettore binormale, e il modo in cui varia, è in grado di definire la torsione della curva. Per costruzione, il vettore binormale sarà ortogonale alla sua derivata rispetto ad $s$. Infatti ancora $b^T(s)b(s)\equiv 1$ e quindi $\dot{b}^T(s)b(s)\equiv 0$. Ciò implica che, essendo che ci stiamo riferendo a curve in $\mathbb{R}^3$, se un vettore è ortogonale a $b$, allora vive nel piano definito da $u(s)$ e $n(s)$, ovvero nel piano osculatore. Infatti $$\dot{b}(s) = \dot{u}(s)\wedge n(s) + u(s)\wedge \dot{n}(s) = u(s)\wedge \dot{n}(s) $$ visto che $\dot{u}(s)$ è parallelo a $n(s)$ (è solo la sua normalizzazione). Ciò ci porta anche a dire che $\dot{b}(s)$ è perpendicolare sia a $u(s)$ che a $\dot{n}(s)$, deve quindi essere un multiplo di $n(s)$.

Siamo finalmente pronti a parlare di torsione. Essa è la funzione $\tau:I\rightarrow\mathbb{R}$ di classe $C^{k-3}$, dove $\sigma\in C^k$, tale che $\dot{b}(s) = -\tau(s) n(s)$. Quindi la curva è piana se e solo se la curvatura $\tau(s)$ è identicamente nulla.

In questa trattazione fatta fino ad ora ho preferito dare spazio all’intuizione piuttosto che al ragionamento rigoroso, quindi in certi punti ho omesso requisiti di regolarità delle curve e funzioni utilizzate. Questo non perchè non siano importanti, tutt’altro, però per una comprensione iniziale ritengo sia più importante concentrarsi sul "big picture", dopo per capire meglio il tutto basta addentrarsi nei libri tecnici (come l’Abate Tovena. )

Potremmo dire dell’altro o fare più esempi, ma per ora direi che possiamo finire qui, ci leggiamo al prossimo articolo per proseguire con la discussione riguardo le curve 🚀.

Cosa si studia ad analisi 1?

Ecco alcuni punti chiave del video:

I principali argomenti trattati nel corso sono i seguenti.

  1. Numeri reali: perché ne abbiamo bisogno? Modelli dei numeri reali e definizione assiomatica. Assioma di completezza di $\mathbb{R}$, estremo superiore, inferiore e densità di $\mathbb{Q}$ in $\mathbb{R}$. Breve riassunto dei concetti topologici della retta reale, aperti, chiusi ecc..
  2. Definizione di limite e nozione di funzione continua. Descrizione dei punti di accumulazione, con altri teoremi fondamentali sui limiti (per esempio il teorema dei carabinieri) e sulla proprietà di continuità.
  3. Nozione di derivata, concetto di massimo e minimo, con teoremi annessi. Per esempio il teorema di Weierstrass. Calcolo delle derivate e relative proprietà.
  4. Teorema di espansione di Taylor, serie di Taylor e conseguenti tecniche per risolvere forme indeterminate nei limiti grazie a questi concetti. esempio $$e^x = 1 + x + \frac{x^2}{2!} + \frac{x^3}{3!} + … = \sum_{k=0}^{+\infty} \frac{x^k}{k!}$$
  5. Sviluppo del concetto di serie, somma infinita. Ci si concentra su particolari serie numeriche, si vede cosa si intende per convergenza di serie e vari criteri per valutare questa proprietà.
  6. Introduzione del concetto di integrale, con integrale superiore ed inferiore.  Descrizione delle varie proprietà, delle classi di funzioni integrabili e per esempio del teorema fondamentale del calcolo. Ci si concentra anche sugli integrali impropri (convergenza ecc..)
  7. Equazioni differenziali ordinarie e problemi di Cauchy. Ci si concentra su teoremi di esistenza e unicità, varie classi di ODE per esempio a variabili separabili, a coefficienti costanti del secondo ordine, o metodo di somiglianza –> l’idea è di arrivare a costruire delle soluzioni generali e integrali particolari di ODE. Cenni sullo studio qualitativo.

Libri suggeriti:

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Devo essere un genio per studiare matematica?

Beh, chiaramente deve essere un genio!

Ciao. Eccoci con un nuovo articolo. Oggi andremo a rispondere ad una domanda che mi è stata fatta parecchie volte e che ho trovato anche molto richiesta su Quora e altri siti.

La domanda è: “Per studiare matematica, devo essere un genio? Devo essere dotato in maniera innata? Devo essere nato con un quoziente intellettivo parecchio elevato? Oppure chiunque sostanzialmente può andare a studiarla?”.

Intanto, prima di proseguire la lettura, ti ricordo che se preferisci guardare video al leggere articoli, qui trovi la versione video dei contenuti che ho poi trascritto qui sotto :

Beh, l’affermazione con cui ho aperto l’articolo era abbastanza una provocazione chiaramente. Infatti, per quanto mi riguarda, per esperienza personale e per i miei amici che ho conosciuto nei 5 anni di università, non è necessario essere un genio per studiare matematica.

Le tre cose più importanti, per me, sono

  • la determinazione,
  • la passione e
  • l’interesse nel portare avanti questi studi.

E’ innegabile, chiaramente, che esistono persone dotate naturalmente, persone che arrivano prima alla soluzione dei problemi, persone che comprendono prima i risultati matematici della gran parte degli altri. Ovviamente loro sono avvantaggiati nel percorso universitario in matematica.

Però, andiamo un po’ a vedere qual è la definizione classica che puoi trovare su un qualunque dizionario del termine genio.

Solitamente si definisce genio una persona con una spiccata intelligenza, dove questa intelligenza che lo contraddistingue dagli altri, dalla massa, è un qualcosa di innato.

Ovviamente quindi, una persona che abbia questa dote naturale è avvantaggiata nella possibile carriera in quanto matematico o matematica e, in particolare, in quanto studente di questa disciplina.

Tuttavia, secondo me, questo non impedisce agli altri, con lo studio, il dovuto tempo e la fatica, di arrivare ad ottimi risultati. Funziona un po’ come negli sport, dove le capacità innate aiutano ma non sono tutto. Se uno è particolarmente dotato in termini fisici e di talento naturale nel giocare a basket, per esempio, è chiaro che abbia una marcia in più rispetto ad un ragazzo minuto e basetto.

E’ anche chiaro che, in termini probabilistici, questo abbia maggiori possibilità di arrivare in NBA rispetto alla seconda persona.

Però, se questo ragazzo dotato di natura non ci mette impegno, non ci mette dedizione e costanza andandosi ad allenare, andando alle partite e mettendoci la testa, difficilmente arriverà a competere con i grandi del basket.

Cosa diversa invece è se andiamo a vedere quale potrebbe essere la carriera dell’altro ragazzo, quello più minuto. Lui, magari, è molto appassionato, la natura non è dalla sua parte però è determinato, si allena costantemente, continua a migliorare giorno dopo giorno e, soprattutto, punta sul gioco di squadra. Ovvero, fa sue delle capacità che vanno a colmare le lacune che la natura purtroppo gli ha dato..

In parole povere, questo secondo ragazzo non si rassegna al fatto che ci sia qualcuno che è più forte di lui. Invece, continua a lavorare e, magari, un giorno può diventare un ottimo giocatore di serie B o magari anche in serie A .

Insomma, secondo me la cosa importante nello sport come nello studio della matematica, è il voler capire le cose, il voler capire come risolvere un problema e quindi l’essere determinati e costanti nello studio.

Ovviamente il parallelo che ho fatto con lo sport vale in modo limitato, è solo per dare un’idea. E’ evidente che la competizione sportiva non abbia alcun legame nella matematica, dato che il successo di una persona nel risolvere un problema non implica in nessun modo la sconfitta degli altri 😉 . Comunque, penso possa essere sufficientemente esplicativo.

Dai discorsi che ho fatto qui sopra, probabilmente capirai che io non ritengo un motivo valido per rinunciare all’iscrizione all’università di matematica la frase “ma io non vado bene in matematica alle superiori”.

Infatti, se comunque il tuo interesse verso la matematica è forte (intendo verso la matematica, non verso il saper fare i conti correttamente 😉 ), allora secondo me hai tutte le carte in regola per iscriverti e studiare matematica.

Questo era un breve articoletto in cui ho condiviso la mia idea riguardo questo tema. Mi farebbe ovviamente piacere leggere qui sotto nei commenti cosa ne pensi, o se hai qualsiasi suggerimento per nuovi video/articoli.

Con ciò ti saluto e ci leggiamo alla prossima, ciao!

principio del terzo escluso – Cos’e’ e qualche esempio

Ciao. Eccoci con un nuovo articolo. Oggi andremo a continuare la lista di terminologie matematiche spiegate brevemente. In questa sequenza di articoli/video ho previsto contenuti un po’ enciclopedici, in cui cerco di prendere quei termini/concetti che all’università vengono dati per scontati (e magari ti fai anche dei problemi a porre delle domande a riguardo perché pensi siano stupide).

Prima di proseguire, se preferisci guardare video alla lettura, qui trovi il video:

Oggi andremo a vedere che cosa si intende per principio del terzo escluso.Questo è un risultato molto semplice da capire. E’ un principio che è abbracciato in maniera molto aperta da gran parte dei rami della matematica. Vedremo poi però che ci sono anche dei matematici che non lo approvano, che non prendono in considerazione questo principio e sono chiamati matematici costruttivisti.

Il principio del terzo escluso si basa su un’idea molto semplice, o meglio evidenzia un’idea molto semplice: una proposizione matematica può essere o vera o falsa, non può esserci una terza possibilità.

Per esempio, quando sei davanti ad un numero naturale e affermi che è pari, ci sono solo 2 possibilità: hai ragione o hai torto. Infatti un numero naturale o è pari o non lo è, e in tal caso lo chiamiamo dispari. Però non può esserci una terza possibilità, ed ecco perché parliamo di “escludere il terzo”.

Questo è anche il principio che regola fondamentalmente la dimostrazione per assurdo. Infatti l’idea alla base di questa tecnica dimostrativa è di partire da un’assunzione (che solitamente è l’opposto di quello che vogliamo dimostrare) e poi, tramite dei ragionamenti logici e coerenti, arrivare ad una contraddizione.

Da ciò, possiamo dedurre che siccome partendo dall’assunzione di partenza, siamo arrivati ad una contraddizione, allora questa è errata. A questo punto entra a gamba tesa il principio del terzo escluso. Infatti, siccome non c’è alcuna possibilità oltre al fatto che un’assunzione sia errata o corretta, questa contraddizione vuol dire che abbiamo mostrato la validità della tesi.

Occhio però! Abbiamo mostrato la tesi non in modo costruttivo, ma l’abbiamo fatto escludendo l’altro caso possibile. Ecco dove arrivano i matematici costruttivisti, che si rifiutano di accettare risultati mostrati in questo modo e, più in generale, decidono di rinunciare completamente al principio del terzo escluso.

I matematici costruttivisti, vogliono mostrare tutti i risultati in modo costruttivo, ovvero concretamente partire dalle ipotesi e, logicamente, arrivare alla tesi.Detto ciò, magari non hai mai sentito parlare di questo principio, ma probabilmente avrai già utilizzato, magari senza accorgertene, tutti questi concetti di cui abbiamo parlato. Perché? Perché semplicemente è un principio molto ragionevole.

Noi infatti siamo abituati a dare per scontato che un concetto matematico sia o vero o falso. Chiaramente, nel mondo reale, nei problemi della vita concreta, ci sono delle verità opinabili, ci sono delle situazioni dove non c’è solo l’attributo di verità o falsità, e ci sono cose discutibili.

Però in questi casi si parla di “problemi” del linguaggio comune o di situazioni legate alle opinioni, ovvero tutte cose che in matematica non sono ben viste e presenti.

Con ciò spero di aver chiarito il principio del terzo escluso. Ti ricordo poi che se hai altri termini/concetti che ti interesserebbe che trattassi, puoi lasciare tranquillamente un commento qui sotto e proverò a trattarlo in altri video/articoli.

Con ciò ti saluto, e ci leggiamo al prossimo articolo 😉

Davide

La scommessa più disastrosa (e importante) della storia

Questa storia ha inizio nel 1684 quando tre uomini si incontrarono in un caffè a Londra.

Questi erano tre accademici e amici, ognuno dei quali aveva una reputazione che li anticipava: Edmond Halley, il poliedrico Robert Hooke e il rinomato architetto Sir Christopher Wren (nell’immagine sopra, da sinistra a destra).

Impegnandosi in vivaci conversazioni sui recenti sviluppi scientifici, la loro attenzione si spostò presto su un argomento che era stato a lungo fonte di mistero e intrighi nella comunità scientifica: i movimenti degli oggetti celesti.All’epoca si sapeva che i pianeti viaggiavano in orbite ellittiche attorno al Sole. In realtà, questo era stato stabilito meno di un secolo prima dall’astronomo Johannes Kepler (italianizzato Keplero), attraverso la prima delle tre leggi riguardanti il ​​moto planetario.Ma le leggi di Keplero erano basate sull’analisi dei dati empirici, senza una teoria matematica generale a sostegno dei risultati. In sostanza, si sapeva che i pianeti viaggiavano su orbite ellittiche, ma perché? Questo era ciò che incuriosì i tre uomini.E così, avvenne che quel giorno fu fatta una scommessa memorabile: Wren offrì un premio di quaranta scellini all’uomo che avesse fornito un’elegante soluzione al problema.


Hooke, che si dice fosse una figura piuttosto litigiosa, si affrettò ad affermare di avere già la soluzione. Ma scelse di tenerla per sé, promettendo di rivelarlo solo quando gli altri avessero ammesso la sconfitta. È improbabile che avesse davvero una soluzione, poiché non ne avrebbe potuta produrre una al volo. Ma quello che si può dire è che la scommessa fatta in questo giorno, anche se seminale, si sarebbe rivelata piuttosto catastrofica per un uomo: Edmond Halley.


Halley si ossessionò al problema nei mesi successivi. Sebbene incerto sulla soluzione, era sicuro che la chiave fosse qualcosa chiamata “legge del quadrato inverso”.Sin dai tempi di Keplero, si pensava che ci fosse una sorta di forza attrattiva che manteneva i pianeti in orbita attorno al Sole. Nello specifico, si credeva che questa forza fosse inversamente proporzionale al quadrato della distanza tra loro; Keplero aveva detto altrettanto nella sua seconda e terza legge planetaria.Per Halley, la domanda era meno sul motivo per cui i pianeti viaggiassero in orbite ellittiche, ma piuttosto su quale sarebbe la forma dell’orbita di un pianeta se la legge del quadrato inverso fosse stata mantenuta. Ma non sapeva come procedere da lì.Così, nell’estate di quell’anno, si recò a Cambridge per chiedere aiuto al professore di matematica lucasiano dell’università: l’unico e solo Isaac Newton.

Con sorpresa e gioia di Halley, Newton aveva già risolto il problema: la forma dell’orbita era infatti un’ellisse!Ma quando Halley chiese se poteva mostrare i suoi calcoli, Newton non potè mostrare il documento. Tuttavia, su richiesta di Halley, promise di rifare il lavoro e mostrarglielo.In effetti, Newton non solo mantenne la sua promessa, ma andò ben oltre. Da tempo pensava ai principi del movimento sin dai tempi in cui studiava all’università e la richiesta di Halley lo spinse a consolidare tutto il lavoro che aveva svolto negli ultimi vent’anni. E, dopo diciotto estenuanti mesi, il testo rivoluzionario era finito.Si chiamava Philosophia Naturalis Principia Mathematica, che si traduce in Principi matematici della filosofia naturale. Al giorno d’oggi, è semplicemente noto come Principia.Questo testo conteneva tutto il lavoro di Newton sulla cinematica, dalle tre leggi del moto alla legge universale di gravitazione. La ricerca di Halley di una spiegazione matematica sottostante per il moto planetario non era stata vana; tuttavia, non fu senza costi da parte sua.

Da un lato, Newton aveva scelto di pubblicare il suo lavoro in tre volumi, ma dopo che scoppiò una disputa tra lui e Hooke, si rifiutò di pubblicare il terzo, che era un pezzo fondamentale per la comprensione dei primi due. Solo con molta diplomazia e adulazione da parte di Halley venne alla luce il volume finale. Anche la pubblicazione del libro stesso divenne difficile. Halley inizialmente si era assicurato la promessa della Royal Society di farlo, ma alla fine rinnegarono. L’anno prima avevano sponsorizzato la pubblicazione di The History of Fishes, che si rivelò un immenso flop.

Dopo questo fiasco, i membri della società non erano propensi all’idea di rischiare le proprie finanze su un trattato di matematica. Così, Halley fece il generoso sforzo di pagare la sua pubblicazione con il proprio stipendio, mentre Newton come al solito non contribuì. A peggiorare le cose, Halley ricevette subito dopo la notizia che la Società, sotto la quale lavorava, non poteva più permettersi di pagare il suo stipendio annuale di cinquanta sterline. Invece, sarebbe stato pagato in copie di The History of Fishes.


In retrospettiva, la scommessa di Wren si rivelò piuttosto dannosa per Halley. Per il prezzo di quaranta scellini, aveva scommesso la sua carriera, reputazione e stipendio per assicurarsi che il lavoro di Newton venisse alla luce.Ma le implicazioni furono senza dubbio gloriose. I Principia non si limitavano a spiegare il moto dei corpi planetari; spiegava tutto, dal movimento delle maree alla traiettoria di una palla lanciata in aria. Le sue pagine iniziali sono giustamente considerate l’inizio della scienza moderna, poiché Newton creò magistralmente una solida comprensione di come il nostro universo operasse in termini di movimento.Fu sicuramente una scommessa catastrofica per Edmond Halley, ma senza dubbio decisiva per la rivoluzione scientifica!

Crediti per la storia: Bill Bryson, Breve storia di (quasi) tutto

Nota: Questo articolo è stato preso dalla risposta di Quora: https://it.quora.com/Qual-è-stata-la-scommessa-più-catastrofica-mai-presa/answer/Erik-Pillon