Meccanica quantistica – introduzione alla matematica (Parte 2)

Meccanica quantistica - introduzione alla matematica (Parte 2)
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Bentornati in questa serie sulle basi matematiche della meccanica quantistica. Se hai letto il primo articolo sarai curioso di conoscere quale sia il formalismo che si usa (e perchè). Come promesso questa volta mettiamo le mani in pasta con la matematica!

meccanica quantistica

Prima di iniziare voglio fare alcune doverose premesse. Oltre a leggere la prima parte dei questa serie di articoli, ovviamente, consiglio vivamente (anzi direi che è praticamente necessario 😉) di leggere la serie di articoli di Davide sugli spazi di Hilbert . La serie di articoli in questione sarà parallela alla mia e in molti sensi saranno collegate: infatti la formulazione matematica della meccanica quantistica è nata grazie alla teoria fatta per gli spazi lineari e gli spazi lineari hanno giovato molto del lavoro fatto per la meccanica quantistica (come già accennato nell’articolo da Davide), un altro dei tanti esempi della prolifica e utilissima collaborazione tra matematica e fisica. In quell’articolo sono presenti concetti fondamentali che ci aiuteranno a capire perchè e come i padri fondatori che ho citato nello scorso articolo abbiano formalizzato in questo modo la meccanica quantistica, che è il punto focale della mia serie di articoli.

Il lettore più interessato ed esperto può consultare tranquillamente come fonti quelle lasciate da Davide. Volendo, per esperienza personale, un ottimo libro (anzi un classico per dire la verità) su questi argomenti è il A. Kolmogorov: Elementi di teoria delle funzioni e di analisi funzionale.

Spazi di Hilbert

Adesso passiamo finalmente alla matematica! Come detto nella parte storica dello scorso articolo il formalismo che si usa è prettamente dovuto a Dirac-Schrödinger-Heisenberg.

La prima domanda che possiamo farci è “dove vive il nostro sistema?”, che è un modo per chiederci quale sia lo spazio da considerare. Come da titolo possiamo sfruttare gli spazi di Hilbert. La serie di articoli di Davide fa una trattazione più chiara della mia, quindi cercherò solo di mostrare alcune proprietà fondamentali (magari ripetendole) e come si collegano alla fisica. Ultima piccola digressione: In realtà la teoria matematica richiesta sugli spazi è leggermente più complicata di questa, però si può già sfruttare la matematica che esporrò di seguito per capire bene come formalizziamo la meccanica quantistica. Adesso, cominciamo!

Definizione (Spazio di Hilbert): Uno spazio vettoriale $H$ in cui è definito un prodotto scalare e che risulta essere completo (cioè in cui ogni successione di Cauchy converge) rispetto alla norma definita dal prodotto scalare si dice di Hilbert.

Effetivamente questa definizione, anche se da manuale, è troppo generale per quello che ci interessa. Molti spazi rientrano in questa definizione, tra cui gli spazi $ \mathbb{R} ^n$ e $ \mathbb{C} ^n$, la cosa interessante però è che con questa definizione di possono trovare anche spazi a dimensione infinita (quindi con una base infinita) in cui succedono molte cose “strane”. Possiamo cercare una definizione di spazio più semplice, ma che sia sempre di Hilbert, e lavorare con quella (anche se per tradizione continueremo a chiamarla spazio di Hilbert). Introduciamo alcuni concetti interessanti:

Definizione (Spazio Euclideo): Uno spazio $X$ Euclideo è uno spazio vettoriale dotato di prodotto scalare.

Adesso sfruttiamo un concetto che potete trovare in questo articolo del sito insieme alla storia e le idee di Cantor, ovvero quello della cardinalità di uno spazio. Ti invito inoltre a dare una lettura al concetto di punto di accumulazione.

Definizione (Spazio separabile): Uno spazio euclideo $X$ si dice separabile se esiste un sottospazio numerabile (cioè con la stessa cardinalità dell’insieme $\mathbb{N}$) e denso (ovvero se ogni punto del sottospazio appartiene all’insieme o ne è punto di accumulazione).

In questa parte introdurrò alcuni concetti molto avanzati, con cui forse non tutti voi avete dimestichezza. Quindi nel caso ti consiglio di leggerli ed approfondirli con il testo prima citato o eventualmente aspettare che la serie di articoli di Davide vada avanti nella teoria degli spazi di Hilbert.

Definizione (vettori ortonormali): Un insieme di vettori $\{ \alpha_i \} $ si dice ortonormale quando il prodotto scalare tra due vettori risulta essere $\alpha_i \cdot \alpha_j=0$ per $i \ j$ e $\alpha_i \cdot \alpha_i=1$.

Definizione (set ortonormale completo): Un set ortonormale $\{\alpha_i\}$ è un insieme di vettori ortonormali, esso è completo quando $\forall$ $x\in X$ la serie di Fourier di x rispetto al set converge, nella norma di H, ad x stesso.

In questo caso abbiamo appena introdotto un nuovo concetto, ovvero le serie di Fourier! Questo strumento fondamentale della matematica torna più volte utile in fisica e questo è solo uno dei tantissimi casi.

Definizione alternativa (set ortonormale completo): $\{\alpha_i\}$ è completo se è una base per lo spazio vettoriale. Essa si può dimostrare equivalente alla precendente.

Grazie a questa definizione, più comoda e facile in molti sensi, procediamo illustrando un teorema molto utile:

Teorema: Uno spazio $X$ euclideo è separabile se e solo se $\exists$ un $\{\alpha_i\}$ ortonormale, completo e numerabile.

Bene, ma perchè introdurre tutti questi concetti? Come detto prima cerchiamo una definizione di spazio di Hilbert più semplice, che usiamo poi nella nostra descrizione fisica. Si può facilmente dimostrare infatti che uno spazio $H$ euclideo che sia completo e separabile è uno spazio di Hilbert! Introduciamo ora un teorema fondamentale:

Teorema: Uno spazio di Hilbert (come definito prima) è isomorfo a $L^2$.

Non conoscete lo spazio $L^2$? Sul sito è presente un ottimo articolo sulle trasformate che ti consiglio di leggere per avere idea di cosa siano e in che spazio siano definite. Questo ci aiuto molto, poichè connette tutti gli elementi dello spazio di Hilbert fisico con funzioni a quadrato sommabile.

Senza continuare col formalismo matematico, di cui ci sarebbero infinite cose da dire in realtà, carchiamo di capire il motivo fisico. Sicuramente sarà strano per voi pensare perchè i grandi fisici abbiano deciso di usare questa matematica apparentemente astrusa per descrivere la realtà fisica, cerchiamo di fare chiarezza. Ogni sistema fisico è associato con uno spazio di Hilbert, la scelta dell’utilizzo di questi spazi è data principlamente da:

  • Linearità: la sovrapposizione di più vettori restituisce ancora un vettore dello spazio, fondamentale per spiegare fenomeni come la diffrazione e l’interferenza.
  • Completezza: fa in modo che se applichiamo un operatore (ne parleremo dopo di cosa siano) restituisce ancora uno stato, sarà utile per lavorare con le grandezza fisiche.
  • Separabilità: garantisce che un vettore ha una base ortonormale numerabile che lo definisce univocamente, servirà per proiettare i vettori rispetto a certe basi con un particolare significato fisico.

Parliamo della natura di questi “vettori”, qual è il significato che la meccanica quantistica da a questi elementi che “abitano lo spazio”?

Chiamiamo $|{\psi}> \in H$ una rappresentazione dello stato fisico del sistema, in breve “ket”. Mentre $<\psi| \in H^*$ è un elemento dello spazio duale e si chiama “bra” (qui per sapere cosa sia lo spazio duale) . Questo modo di scrivere i vettori si chiama notazione di Dirac, i nomi vengono dal fatto che in inglese la parentesi si chiama “bracket”… capito la battuta? Che simpaticone Dirac!

Definizione (funzionale lineare): Il funzionale è una funzione su uno spazio vettoriale $F:$ $H \rightarrow \mathbb{C} $ tale che $F[\psi] \in \mathbb{C} $. Esso è lineare poichè $F[x\psi+y\psi’]=xF[\psi]+yF[\psi’]$ $\forall \psi , \psi’ \in H$.

Grazie ai funzionali si può esprimere il prodotto scalare già definito nel nostro spazio come un funzionale: $F_\phi[\psi]=<\phi|\psi>$ $\forall \psi\in H$. Potreste chiedervi, giustamente, come fa un elemento dello spazio duale ad associarsi con un elemento dello spazio stesso? Ci viene in aiuto questo teorema:

Teorema (Riesz): Dato uno spazio di Hilbert $H$ allora $\forall$ $F:H \rightarrow \mathbb{C} $ lineare e continuo (dove vale una condizione simile alla continuità per funzioni) allora $\exists$ un solo $\phi_F \in H$ tale che $<\phi_F|\psi>=F[\psi]$ $\forall \psi \in H$.

Fisicamente questo prodotto scalare $<\phi|\psi>$ consiste nel proiettare uno stato “vecchio” in uno “nuovo”, così che il prodotto scalare definisce l’ampiezza di probabilità del passaggio da uno stato all’altro. La probabilità di misurare il sistema nello stato del bra (se lo stato è normalizzato con $<\psi|\psi>$) è data per definizione da $P=>{|<\phi|\psi>|}^2$… ecco a voi la famosa interpretazione probabilistica della meccanica quantistica! La linearità dello spazio (e del prodotto scalare) garantisce così la cosidetta sovrapposizione di stati, con questa si risolve il problema della doppia fenditura citato inizialmente immaginando che ogni elettrone che passi per una fenditura abbia uno stato diverso (in questo caso saranno 2) o una somma dei due. È infatti questo il modo in cui viene formalizzata la famosa idea che un osservatore cambi lo stato fisico del sistema (su cui spesso la fantascienza gioca), essa è data semplicemente dal fato che nel misurare si sta in realtà “facendo” un prodotto scalare con uno stato deciso da noi (quello della misura)!

Ultimo concetto fondamentale: Se come stato bra decidiamo di prendere una base otteniamo come risultato le cosidette funzioni d’onda. Se si usa la base delle posizioni $<r|$ otteniamo la funzione d’onda della posizione $\psi(r)=<r|\psi>$ che fornisce in modo diretto la posizione della particella. Mentre $<p|$ è la base degli impulsi e fornisce la funzione d’onda degli impulsi $\psi(r)=<r|\psi>$ che fornisce la quantità di moto. Esse sono funzioni complesse e si usano per calcolare i prodotti scalari che abbiamo definito prima come integrali, della connessione tra le due funzioni parleremo in un altro articolo.

Ottimo, adesso sappiamo un accenno di cosa siano le funzioni d’onda e gli stati. Andiamo avanti scoprendo cosa siano gli osservabili fisici e come spunti fuori la quantizzazione.

Operatori e fisica quantistica

Adesso parliamo degli operatori in fisica quantistica. Le seconda domanda che ci poniamo viene da un semplice ragionamento basato sulla prima, in un certo senso. Se lo spazio in cui “vive” la nostra fisica è H e il vettore bra $|\psi>$ rappresenta il nostro sistema fisico allora ci si chiede: “Ma le variabili come quantità di moto, energia, posizione, ecc. cosa diventano?”… la risposta è operatori!

Definizione (operatore): Si dice $\hat{A}$ operatore lineare un’ applicazione $H_1 \rightarrow H_2$ tale che $ \hat{A} |h_1>=|h_2>$ con $|h_1> \in H_1 , |h_2> \in H_2$ e per cui valgono le consizioni di linearità analoghe al prodotto scalare:

  • $( \hat{A} + \hat{B} )h= \hat{A} h+ \hat{B} h$
  • $a( \hat{A} h)= \hat{A} (ah)$ con $a \in \mathbb{R}$
  • $\hat{A} \hat{B} h= \hat{A} ( \hat{B} h)$

Questa definizione è generale ma se come spazi si scelgono quelli “fisici” dello spazio di Hilbert prima detto e quindi gli stati come vettori allora si sta cambiando stato dopo un’osservazione (data dall’applicare l’operatore), e una scrittura del tipo $<\psi| \hat{A} |\phi>$ rapprensenta un prodotto scalare dopo aver trasformato il vettore $|\phi>$. Una definizione importante è la seguente:

Definizione (operatore aggiunto): Si può scrivere un prodotto scalare $<\psi|\hat{A}|\phi>$ anche nella forma $<\hat{A ^\dagger } \psi| |\phi>$, dove $ \hat{A ^\dagger } $ si chiama operatore aggiunto. Se un operatore è uguale al suo aggiunto allora si dice operatore hermitiano.

Adesso, come per il paragrafo precedente, cerchiamo di spiegare a cosa serva tutta questa matematica appena definita. Gli operatori possono essere rappresentati come matrici sotto opportune condizioni dello spazio, quindi in quanto tali la loro applicazione ad un vettore (nel nostro caso uno stato) da luogo ad uno spettro di autovalori discreto, ovvero ad un insieme di valori discreti $\lambda \in \mathbb{C} $ per cui $\hat{A}|\psi>=\lambda|\psi>$ (cioè il l’operatore applicato al vettore torna il vettore stesso per un valore complesso). Come accennato prima ipotizzando che gli operatori (aggiungiamo ora) hermitiani siano osservabili fisici gli autovalori non sono altro che i valori che una misura di una variabile fisica torna se fatta su di un certo stato quantistico, cioè se andiamo in un laboratorio e misuriamo per esempio la quantità di moto di una particella mi aspetto che l’apparato sperimentale mi dia sullo schermo proprio quelli. Il fatto che questi autovalori siano discreti adesso ci fa capire in che senso la fisica quantistica accetta solo certi valori discreti… sono infatti proprio gli autovalori! Ed il fatto che questi $\lambda$ siano complessi non deve preoccuparci (poichè non esistono misure fisiche complesse), esiste per fortuna un teorema che garantisce che gli operatori hermitiani ammettano solo autovalori reali.

Alcuni esempi di questi concetti?:

  • Immaginiamo un atomo di idrogeno: L ‘energia si misura grazie all’operatore hamiltoniano $\hat{H}$ che applicato allo stato da come autovalori i livelli energetici $ \hat{H}|\psi>=E|\psi>$ anche detti orbitali, che molti di voi conosceranno magari dalla chimica e che giustificano tra le moltissime cose la presenza dei colori (dall’idrogeno o meno).
  • Prendendo in esempio l’effetto fotoelettrico: La creazione di un fotone viene descritta da degli operatori chiamati di creazione e annichilazione, anche se quello è il regime della Quantum Electrodynamics.
  • L’operatore posizione , come da nome, l’autovalore che rappresenta la posizione della particella. Sempre nel caso dell’atomo questa rapprensenta il cosidetto raggio dell’orbitale.

Esistono molte altri operatori diversi. L’idea è che rispetto alla fisica classica si ribalta il concetto di una variabile che descrive tutto passando ad un operatore che è un concetto totalmente diverso. Ultimo concetto importante è che se si vuole avere un valore di aspettazione per un certo osservabile, cioè il valore che ci si aspetta probabilisticamente da una misura fatta in un esperimento, in uno stato esso è per definizione: $<\psi|\hat{A}|\psi>$.

Conclusione

Questa “puntata” della serie è stata davvero complicata vero? Ho cercato di fare del mio meglio ma purtroppo certi concetti richiedono tanto studio per poter essere digeriti bene. Mi scuso quindi se non sono riuscito e rendere chiarissimo questo articolo e ti invito anzi ad approfondire meglio grazie alla serie di Davide e alle risorse fornite. Ci vediamo alla prossima e ultima puntata sulla matematica che sta alla base della meccanica quantistica parlando, anche, del principio di indeterminazione!

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