Il sogno di Leibniz: la caratteristica universale

Il sogno di Leibniz: la caratteristica universale
Tempo di lettura: 8 minuti

Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) è stato un matematico, ingegnere, filosofo, teologo, linguista, diplomatico, giurista, storico… Il suo genio universale ha lasciato tracce del suo passaggio in ogni campo del sapere di cui si è interessato.

Per parlare della sua opera anche solo in uno di questi campi servirebbe ben più di un articolo. 

A noi appassionati di matematica il nome di Leibniz riporta alla mente subito derivate e integrali, famosa è la disputa tra lui e Newton sulla paternità del calcolo infinitesimale. Ci sarebbe tantissimo da dire anche su questo, ma non è l’argomento di oggi. 

In questo articolo parleremo di un’idea, un’idea che grazie al suo sviluppo ci ha regalato la logica, il calcolo automatico e l’informatica moderna.

Prima ti proseguire ti ricordo che sul blog ci sono già altri articoli dedicati ai grandi matematici, eccone alcuni:

Gauss: il principe dei matematici.

Poincaré: l’ultimo universalista.

Leibniz

Leibniz e l’importanza di una buona notazione

Chi ha già avuto a che fare col calcolo differenziale ricorderà sicuramente le diverse notazioni che si possono usare per indicare la differenziazione. Una tra queste è stata inventata proprio da Leibniz, fu lui a introdurre i simboli ∫ per l’integrazione e d per la derivazione. 

Questa notazione è estremamente intuitiva: la regola di Leibniz per il prodotto si dimostra banalmente usando la sua notazione ($d(fg) = (f+df) (g+dg) – fg = f(dg) + g(df) + (df)(dg) = f(dg) + g(df) $, poiché $(df)(dg)$ è infinitesimo di ordine inferiore), la stessa cosa accade per la tecnica di integrazione nota come metodo di sostituzione, usando la notazione di Leibniz è praticamente automatica. 

Emblematico della comodità della notazione di Leibniz è il fatto che ancora oggi venga usata (fuori dalle facoltà di matematica 😉 ) in modo spesso improprio, per giustificare passaggi che altrimenti richiederebbero derivazioni formali più impegnative. Leibniz fece uso sistematico degli infinitesimi, numeri positivi più piccoli di qualsiasi numero reale positivo. Fin dalla loro introduzione venne contestata la legittimità di tali grandezze, ed in effetti all’inizio del XX secolo tutti i matematici riconoscevano che l’uso degli infinitesimi non aveva giustificazione. Nel 1966 Abraham Robinson introdusse l’Analisi Non-standard, riabilitando l’utilizzo degli infinitesimi, definendoli in modo rigoroso sfruttando i rivoluzionari risultati della logica del ‘900.

Questa semplicità di utilizzo non è un caso! Leibniz passò anni a perfezionare la sua notazione. Era convinto dell’importanza di scegliere simboli adatti e trovare regole che ne governassero la manipolazione

In un certo senso è proprio questa l’idea di Leibniz: la sua notazione per il calcolo differenziale in qualche modo si prende carico di gran parte del lavoro, perché possiede già nelle sue regole di manipolazione il significato di ciò che rappresenta. 

Leibniz sognava qualcosa di analogo per l’intera conoscenza umana: un linguaggio artificiale universale, con regole grammaticali che mettessero in luce tutte relazioni logiche esistenti tra le proposizioni. 

Una volta costruito questo linguaggio, sarebbe stato possibile lasciare a delle macchine il compito di dedurre tutte le verità semplicemente sbrigando i calcoli, lasciando libera di dedicarsi al pensiero creativo la mente umana.

«È assurdo impiegare gli uomini di intelligenza eccellente per fare calcoli che potrebbero essere affidati a chiunque se si usassero delle macchine.»

G.W. Leibniz

L’Ars Magna di Llull

Quest’idea in realtà nacque in Leibniz molto prima degli anni in cui sviluppò il calcolo differenziale. Probabilmente risale alla sua gioventù, durante i suoi studi di diritto. Affascinato dalla logica aristotelica, per una mente logica come la sua era assurdo pensare che delle questioni giuridiche, per quanto intricate, non potessero avere una risoluzione univoca. Nell’idea di Leibniz, una volta sviluppato il suo linguaggio, “quando sorga una controversia, non ci sarà più necessità di discussione tra due filosofi di quella che c’è tra due calcolatori. Sarà sufficiente prendere una penna, sedersi al tavolo e dirsi l’un l’altro: calcoliamo!”

Secondo Leibniz, il primo passo verso un alfabeto del pensiero umano doveva essere l’enumerare tutte le possibili combinazioni dei concetti di base di cui il pensiero umano si compone. Questa convinzione lo portò a studiare, da autodidatta perchè stava ancora conseguendo il dottorato in legge, il calcolo combinatorio.

 Nei suoi studi si imbattè nell’opera di Ramon Llull (1232-1315): l’Ars Magna. Llull fu un filosofo, teologo e missionario maiorchino. Nella sua attività di missionario Llull cercò di convertire al cristianesimo gli ebrei e gli arabi. Per questa ragione studiò a fondo la loro cultura e la struttura delle loro lingue, e ne fu influenzato in modo evidente nella creazione della sua filosofia. Per esempio il sistema di numerazione ebraico usa come cifre gli stessi caratteri usati per le parole. In questo modo ogni parola può essere letta anche come un numero, ed è su questa ambivalenza che è nata la Gematria (l’esegesi biblica basata sul valore numerico delle parole). La cultura ebraica è intrisa di collegamenti con i numeri. Basti pensare alla Cabala o allo stesso Talmud, uno dei libri sacri dell’ebraismo, dove un passaggio afferma che combinando lettere dotate di valore numerico, è possibile costruire la struttura del mondo.

L’Ars Magna (1308) ha come obiettivo quello di conoscere Dio, e per farlo sviluppa la prima forma di logica combinatoria. Llull mette in relazione l’alfabeto agli attributi di Dio. Associa alla lettera A Dio stesso, la B alla bontà, la C alla grandezza e così via. Ora per conoscere tutti i possibili attributi di Dio basta combinare a due a due tutte le lettere. Questo procedimento può essere del tutto meccanico, non c’è bisogno di una mente umana per elencare tutte le combinazioni di lettere.

Codice universale

Nella figura è rappresentato un cerchio suddiviso in 9 settori. Sotto ogni lettera compaiono un aggettivo e un sostantivo. Ogni settore è unito agli altri otto per rappresentare tutte le possibili combinazioni che si possono ottenere ruotando il cerchio.

Leibniz rimase molto colpito da quest’opera anche se ne fu molto critico, per lui quella esposta da Llull era “solo l’ombra della vera arte combinatoria”. 

Nel 1666, come seconda tesi di dottorato in filosofia e legge, presentò la Dissertatio de arte combinatoria, nella quale elabora le idee di Llull: partendo dall’alfabeto, attraverso permutazioni e combinazioni, è possibile ottenere qualsiasi proposizione. Partendo da un “alfabeto” di concetti basilari è possibile ottenere qualsiasi verità che discenda da quei concetti. 

Leibniz in questo modo presentava una logica nuova rispetto a quella dei filosofi classici: attraverso l’arte combinatoria la logica poteva essere utilizzata non solo per determinare la validità dei ragionamenti, ma anche a inventare e scoprire meccanicamente nuove verità.

La macchina aritmetica

La macchina aritmetica

Leibniz però non poteva accontentarsi di un metodo teorico per meccanicizzare la logica: non dimentichiamoci che all’epoca non esistevano quelle che oggi chiameremmo calcolatrici. La cosa che più si avvicinava ad una macchina calcolatrice automatica era la pascalina, progettata nel 1642 dal fisico, matematico e filosofo francese Blaise Pascal, che però era in grado di eseguire solo addizioni e sottrazioni. 

Per questo Leibniz inventò la sua macchina aritmetica, in grado di effettuare le quattro operazioni aritmetiche elementari. La macchina funzionava grazie alla “ruota di Leibniz”, un meccanismo molto ingegnoso che fino al ‘900 è stato ancora usato nelle macchine calcolatrici. Questa invenzione gli permise di essere ammesso alla Royal Society nel 1673 e quindi di entrare a far parte dei maggiori circoli intellettuali dell’epoca.

Leibniz inoltre continuò a perfezionare la sua macchina per tutta la sua vita, anni più tardi cercò anche di progettarne una in grado di effettuare operazioni nel sistema binario, ma rinunciò a costruirla per il numero troppo elevato di cilindri necessari al suo funzionamento.

Il sistema binario e gli esagrammi cinesi

Leibniz era estremamente interessato alle lingue: oltre al tedesco, sua lingua nativa, conosceva il latino, il greco, il francese e l’italiano. Era convinto che esistesse un linguaggio originale dal quale nacquero tutti gli idiomi esistenti e che dovesse esserci traccia di quella lingua in tutte quelle attuali. 

Leibniz era affascinato anche dalla scrittura cinese. La riteneva un ottimo esempio della sua idea di caratteristica universale. Nella terminologia di Leibniz una caratteristica era un sistema simbolico in cui ogni simbolo rappresenta un’idea, e dotato di regole di manipolazione specifiche. 

La scrittura cinese è articolata in modo molto diverso dalla nostra. È composta da caratteri di vario tipo:

  • ideogrammi (rappresentazioni di idee e concetti astratti, ad esempio: 上 (shàng, sopra) e 下 (xià, sotto))
  • pittogrammi (rappresentazioni per mezzo di disegni, ad esempio: 月 (yuè, luna) e 山 (shān, montagna))
  • composti fonetici (in cui è presente un componente fonetico che da un suono particolare al componente radicale, attribuendogli un significato diverso)
  • composti logici (unione di due caratteri che mantengono il loro significato per crearne uno nuovo)

Sono questi ultimi i più affascinanti dal punto di vista della caratteristica universale di Leibniz, rispettano in modo incredibile l’idea che Leibniz aveva di caratteristica! 

Vediamo alcuni esempi:

  • 家 (jiā, casa): rappresentato da un maiale (豕) sotto a un tetto (宀)
  • 明 (míng, luminoso): rappresentato dai due oggetti più luminosi in natura, il sole (日) e la luna (月)
  • 看 (kàn, guardare): qual è il gesto istintivo quando guardiamo un oggetto lontano, magari in una giornata particolarmente luminosa? Mettiamo una mano (手) sopra gli occhi (目), in modo da ripararli per guardare meglio

Per altre curiosità sulla lingua cinese consiglio di dare un’occhiata al sito Inchiostro Virtuale, estremamente interessante.

Ma non è questo l’unico motivo per cui Leibniz si interessò alla cultura cinese. 

Spesso faceva riferimento all’aritmetica e all’algebra come esempi di discipline che dimostrano l’importanza di un buon simbolismo riferendosi anche ai vantaggi che avevano le cifre arabe rispetto ai numeri romani per effettuare i calcoli. 

Quando scoprì la notazione binaria, rimase colpito dalla sua essenzialità. Leibniz vedeva in questo sistema un’analogia con la creazione partendo dal nulla. All’inizio era il nulla, lo 0, e il primo giorno c’era solo Dio, l’1. Dopo 7 giorni, dato che il 7 in binario è 111, esisteva già tutto, e non c’era nessuno zero. 

Joachim Bouvet, missionario in Cina che si trovava in permesso a Parigi nel 1697, venuto a conoscenza dell’interesse di Leibniz per il sistema binario e la cultura cinese, richiamò la sua attenzione sugli esagrammi dell’I Ching.

Esagrammi
I 64 esagrammi

L’I Ching o Libro dei mutamenti è un antico trattato cinese che serviva per fare predizioni, come una specie di oracolo, scritto dal sovrano Fu Hsi intorno al 2400 a.C.

Si basa su una serie di simboli, formati da linee continue e discontinue, raggruppati in trigrammi. Se si uniscono a due a due tutti gli 8 trigrammi possibili otteniamo i 64 esagrammi possibili, formati da 6 linee. È immediato vedere, se consideriamo la linea spezzata come lo zero e quella continua come l’uno, come questa sia una possibile rappresentazione dei numeri da 0 a 63 in notazione binaria.

Utilizzando il sistema binario le regole che governano le operazioni diventano semplicissime! Basta sapere che $1+1=10$ e tutte le moltiplicazioni diventano automatiche. Per dividere un numero per un altro è praticamente sufficiente osservare quale dei due numeri è il  più piccolo. Molte proprietà inoltre diventano evidenti in questa notazione, per esempio, per raddoppiare un numero, basta aggiungere uno zero a destra.

Leibniz, per quanto fosse affascinato da questo sistema, riconosceva però che non sarebbe stato pratico usarlo per i calcoli quotidiani. Già per numeri relativamente piccoli effettuare operazioni in notazione binaria, pur non richiedendo quasi alcun dispendio cognitivo, richiede un enorme numero di passaggi.

La vera potenza del sistema binario è che è facilmente automatizzabile: basta ricordare pochissime regole per essere in grado di effettuare tutti i calcoli. Non è un caso che oggi sia alla base di tutta l’informatica: i computer lavorano con questo sistema e tutto ciò che passa attraverso un supporto digitale, come le immagini, l’audio, i video…è trasformato in una serie di uno e zero.

Riguardo a questo aspetto dell’argomento non posso che consigliare a tutti gli interessati di matematica la lettura del libro “Le due teste del tiranno” di Marco Malvaldi, in particolare del capitolo 2 “Quanto fa Mela Verde per TremalNaik?” nel quale il Funes di Borges è preso come spunto per parlare dell’idea di Leibniz e molto di più: cosa significa pensare.

Lo sviluppo del sogno di Leibniz

Per quanto Leibniz fosse convinto dell’importanza della caratteristica universale, fece pochi passi avanti nel realizzarla. Nel 1678 nello scritto Lingua Generalis, introdusse l’idea di rappresentare i concetti di base attraverso numeri primi e le proposizioni che si deducono da questi attraverso il prodotto di quei numeri primi.

Abbandonò questa idea dopo qualche tempo, considerandola troppo complicata e adottò un altro schema. Nel nuovo approccio riprendeva il metodo della divisione della logica aristotelica per ridurre tutti i concetti ai loro elementi più semplici. A questo scopo secondo Leibniz era necessario redarre un enciclopedia dell’intera conoscenza umana. Arrivò anche a scrivere un’introduzione per tale enciclopedia e a proporre un calcolo logico volto alla caratteristica universale. Questo calcolo logico presentava già alcuni aspetti che faranno parte dell’algebra della logica che Boole svilupperà circa un secolo e mezzo dopo.

Nel corso dei prossimi articoli vedremo come il sogno di Leibniz si è evoluto fino ai giorni nostri attraverso le scoperte delle grandi menti che si sono susseguite nello studio della logica.

Per approfondire

Una splendida trattazione della storia dell’informatica, che parte proprio dal sogno di Leibniz e racconta le conquiste logiche che ne hanno permesso lo sviluppo, la si può trovare nel libro Il calcolatore universale di Martin Davis.

Su youtube è presente una playlist di podcast del professor Odifreddi, che ripercorre la storia della logica dall’antichità fino ai giorni nostri. Vite da logico

2 risposte a “Il sogno di Leibniz: la caratteristica universale”

  1. Avatar Stefano Pinato
    Stefano Pinato

    Eccellente!

    1. Avatar Lorenzo Venieri
      Lorenzo Venieri

      Grazie!

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